L’ex impero che in silenzio assiste alla propria decadenza

Bill Emmott La Stampa 09 Settembre 2022
Dai fasti dell’Impero alla Brexit il Secolo lungo di Elisabetta II

 

La Regina ha rappresentato la continuità con il passato glorioso dell’impero britannico. Lo ha fatto con discrezione, senza mai intromettersi per 70 anni nella politica dl Paese


Per i cittadini del suo Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, la regina Elisabetta II ha rappresentato un senso di continuità con la storia del Paese e, più di ogni altra cosa, senso del dovere e rispettabilità incondizionate. I suoi 70 anni di regno hanno visto arrivare e passare 15 Primi ministri, compresa Liz Truss che il 6 settembre ha sostituito Boris Johnson, e possiamo affermare con discreta sicurezza che la reputazione della regina presso l’opinione pubblica britannica è sempre stata migliore e più cordiale di quella di ciascunO di loro, con la sola eccezione, forse, del suo primo Primo ministro Winston Churchill.

Per il mondo, tuttavia, la regina e la monarchia britannica da lei servita hanno rappresentato qualcosa di più profondo e grande. La continuità, certo, per il semplice fatto di essere stata una costante figura di riferimento in un panorama in continua evoluzione, ma anche un legame diretto con la storia britannica, sia in negativo sia in positivo.

L’aspetto negativo è che la sua nascita nel 1926, ma ancor più la sua ascesa al trono britannico nel 1952, avvennero durante l’impero, quando l’impero britannico era ancora senza dubbio il più grande del mondo. Infatti, Elisabetta apprese della morte di suo padre, il re Giorgio VII, e di conseguenza della sua successione al trono, mentre era in vacanza in Kenya, ai tempi una colonia britannica.

Quell’impero fu quasi del tutto smembrato e disgregato nei decenni seguenti, e il tutto culminò con il ritorno di Hong Kong sotto il regime cinese nel 1997. Eppure, ancora oggi proseguono le manifestazioni e le controversie sul lascito dell’impero: non più tardi della visita del maggio scorso in alcune ex colonie dei Caraibi, suo nipote, il principe William, si è trovato alle prese con vigorose proteste da parte di quei popoli, che chiedono risarcimenti per gli schiavi sfruttati dall’impero soprattutto durante il XVIII secolo.

A quel ricordo imperiale negativo, perpetuato perdipiù dalle onorificenze che la regina ha dovuto assegnare ufficialmente parecchie volte l’anno, e denominate per esempio “Ordine dell’Impero Britannico” (Order of the British Empire), si accompagna anche il ricordo di quanto siano decaduti durante il regno della regina Elisabetta il ruolo e il potere della Gran Bretagna nel mondo. Forse un termine più consono rispetto a decaduti è “normalizzati”, specialmente per come è cambiata e si è comportata la Gran Bretagna durante i quarant’anni della sua appartenenza a quella che oggi è l’Unione europea. Un Paese, che durante la gioventù della regina Elisabetta era stato una potenza imperiale, e che perlopiù promuoveva in esclusiva i suoi stessi interessi comandando a bacchetta le sue colonie, è diventato molto più collaborativo nei confronti degli altri grazie alla Nato, l’Ue e le varie istituzioni delle Nazioni Unite.

Purtroppo, non c’è dubbio: dietro ai desideri delle élite politiche che hanno voluto uscire dall’Ue con il referendum del 2016 e «assumere di nuovo il controllo» del Paese, come diceva lo slogan dei sostenitori della Brexit, c’era parte di quella nostalgia per l’epoca imperiale. L’opinione che la regina aveva della Brexit non è nota, ovviamente, ma nondimeno è chiaro che quel tipo di aristocrazia britannica incentrata intorno alla famiglia reale è composta da molte persone che hanno promosso e voluto la Brexit.

L’aspetto positivo del legame profondo della regina con la storia britannica, tuttavia, è che sia lei sia la monarchia simboleggiano e addirittura incarnano una forte tradizione di pragmatismo. Nulla appare più inglese della famiglia reale, eppure per più di tre secoli i nostri monarchi sono stati tutti importati dalle grandi dinastie d’Europa, prima dall’Olanda (Guglielmo III nel 1689), e poi dalle due famiglie tedesche imparentate tra loro, gli Hannover (Giorgio I nel 1714) e il casato di Sassonia-Coburgo-Gotha dal 1901, dal quale discendeva la stessa regina Elisabetta.

All’importazione da parte del parlamento inglese di dinastie europee che occupassero il trono si accompagnò anche una costante erosione dei poteri politici e legislativi della monarchia. Molto semplicemente, fin dalla sua ascesa al trono nel 1952 la regina Elisabetta comprese che il suo dovere primario era restare in silenzio in merito a qualsiasi tipo di controversia politica fosse sorta. In questo non vi era nulla di nuovo: un mio illustre predecessore alla direzione dell’“Economist”, lo scrittore Walter Bagehot, nel suo libro del 1867 “The English Constitution” scrisse che il ruolo del monarca era «essere consultato, incoraggiare, mettere in guardia». E niente più di questo.

Negli anni Cinquanta, il diritto a incoraggiare e mettere in guardia era perlopiù scomparso. La regina era ancora “consultata”, per mezzo di visite del primo ministro programmate a intervalli regolari, ma non risulta ufficialmente che quelle conversazioni abbiano mai influenzato la politica di governo, anche se negli ultimi decenni la regina Elisabetta aveva un’esperienza in tema di questioni nazionali e globali di gran lunga superiore a quella di qualsiasi suo primo ministro.

Sia lei sia loro sapevano che il ruolo della monarca era quello di rappresentare la nazione e, in periodi difficili, offrire conforto, senza però fare nulla di neanche lontanamente politico come fanno altri capi di Stato. Questo rappresenta un bel problema nella Gran Bretagna moderna nella quale primi ministri come Boris Johnson sono riusciti a insidiare le regole e le usanze tradizionali finalizzate a tenere a freno il loro potere esecutivo. Infatti, laddove gli altri capi di Stato possono agire da controllori o contrappesi, in Gran Bretagna noi abbiamo un vuoto costituzionale.

Quel ruolo – essere un simbolo puramente ligio al dovere – continuerà con il principe Carlo, ma con un ascendente meno globale. Quando la regina Elisabetta ascese al trono britannico, infatti, divenne capo di Stato di trenta altri Paesi e più. Durante il suo regno, 17 di questi hanno scelto di sostituire il monarca britannico con un proprio capo di Stato, ultima l’isola Barbados nel 2021. Con la successione al trono del principe Carlo, è probabile che molti dei 14 Paesi rimasti, ex colonie imperiali sulle quali il re regnerà nominalmente e che comprendono Canada e Australia, coglieranno l’occasione per sostituirlo con un proprio sistema di governo.

Se ciò dovesse accadere, si tratterà di un’ulteriore forma di normalizzazione, sia per la monarchia britannica sia per il Regno Unito stesso. È improbabile che nell’immediato futuro questa normalizzazione comprenda la destituzione della monarchia, in quanto essa continua a essere popolare, un simbolo storico, una fonte di fama e di fascino, e sarebbe molto difficile trovare un’intesa politica su come sostituire il monarca con un’altra forma di capo di Stato.

È quasi paradossale che la regina Elisabetta II sia stata una donna alla quale la sua funzione ha imposto di rimanere perlopiù in silenzio e di celare il più possibile la sua personalità, e al tempo stesso che sia arrivata a incarnare un’immagine così forte di continuità con la storia, grazie alla sua longevità. Ha avuto i suoi periodi difficili – come è risaputo, il fallimento di tre dei matrimoni dei suoi quattro figli – oltre alla morte tragica della ex moglie del suo erede, Diana, quasi 25 anni fa esatti, che le ha portato un breve periodo di scarsa popolarità. In ogni caso, il principio per cui la sua personalità doveva scomparire ha retto ancora, facilitando paradossalmente il pieno recupero della sua popolarità.

Il re Carlo sale al trono all’età di 73 anni con lo svantaggio che l’opinione pubblica crede di sapere molto della sua personalità, grazie alla tragedia di Diana e alle opinioni che egli stesso ha veicolato in passato per ciò che concerne ambiente e architettura. Adesso, anche lui dovrà celare la sua personalità e tenere nascoste le sue opinioni.

Di sicuro non è colpa della monarchia britannica, tuttavia da adesso in poi essa sembrerà un’istituzione per taluni aspetti secondaria, in quanto ha perso quei 70 anni di continuità, di senso del dovere, di dignità che la regina Elisabetta ha rappresentato. Seguirne le orme e il comportamento non sarà soltanto estremamente difficile: sarà impossibile.

Traduzione di Anna Bissanti

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