Un regno fondato sul no comment, intorno una chiassosa soap opera

Letizia Tortello La Stampa 9 settembre 2022
Donald Sassoon: “Un regno fondato sul no comment, intorno una chiassosa soap opera”
Lo storico: «Un simbolo assoluto, e come tale non si è espressa su niente. Prigioniera della parte, sorrideva e non ha mai sbagliato. A parte con Diana»


Un Regno fondato sul «no comment». Taccio, dunque piaccio. Lei, per 70 anni «silenziosa» sul trono. Tutto intorno «una gigantesca e chiassosissima soap opera», che ha fatto molto divertire i britannici e tutto il mondo. Lo storico Donald Sassoon apprende la notizia della morte di Elisabetta II mentre è in Italia, ospite del Festival della Letteratura di Mantova. È uno di quegli intellettuali di Londra inseriti nella lista delle personalità degne di un incontro con Sua Maestà. Ma quell’incontro non è mai avvenuto, perché lo storico, pur rispettandola moltissimo, aveva «altro da fare».

Se ne va un’icona assoluta, la seconda monarca più longeva dopo il Re Sole. Cos’ha rappresentato The Queen per i britannici?

«Non amo dire “mai più”, ma di certo l’importanza di aver vissuto così a lungo e di essere diventata regina da giovanissima, ed essendo lei intelligente, l’ha resa un simbolo indiscutibile.

E i simboli non prendono posizione. Lei l’ha capito da ragazza. Non si è mai espressa su niente, in fondo. Questa è stata la sua forza. Non sappiamo di lei se le piacessero più i laburisti o i conservatori, se fosse a favore della Brexit o contro (forse l’aveva detto ai suoi intimi), cosa pensasse degli americani. Anche sulla fine dell’impero non ha mai espresso un’opinione: dopo tutto, quando lei è diventata regina, l’India era già stata persa, tutte le varie colonie in Africa sono diventate indipendenti, e lei è rimasta popolare in queste colonie. Non ha mai accennato al fatto che l’Inghilterra non fosse più una potenza mondiale, anche se crede di esserlo. Che oggi deve affrontare una delle più gravi crisi dal momento dell’inizio del suo regno».

Anche l’inno era a lei dedicato: “God save the Queen”. E ora?

«E ora per Carlo III sarà molto più difficile stare zitto ed essere un simbolo come lei. Il Regno Unito si identificava in Elisabetta e non, ad esempio, nei partiti. Gli altri inni, compreso il vostro “Fratelli d’Italia” o “Allons enfants de la Patrie” hanno come cuore il popolo. Dio salvi la regina, invece, è il riconoscimento a livello totalmente emotivo, non serio, nella famiglia reale. Che è diventata una specie di telenovela, in cui la regina è la matriarca della nazione, e tutti gli altri divorziano, fanno stupidaggini, ci si chiede che fine faranno, Kate che bisticcia con Meghan. Ogni mese c’è una novità. La gente che segue queste vicende, una grossa minoranza, si diverte. È diventato un istituto di divertimento del popolo».

Carlo sarà alla Sua Altezza?

«Mentre la mamma è stata incoronata sovrana giovanissima e ha capito abbastanza presto che doveva stare sopra le parti, non si può chiedere a Carlo III di restare zitto tutta la vita, quando sarà circondato dalla stampa mondiale. In passato, lui ha parlato molto, anche troppo: parlava alle piante, di medicina omeopatica, di questo e dell’altro. Ha sposato Diana, ma poi l’ha lasciata per una persona più anziana, cosa che gli uomini di solito non fanno. Poi, Diana è morta, ed è iniziata la soap opera. Solo negli ultimi anni ha capito di doversi preparare al ruolo. Una parte per cui non si invia il curriculum all’ufficio del personale».

Il Regno è fondato sul nulla, ci sta dicendo? Come una gigantesca facciata senza troppi valori, né ideali?

«Lei era certamente prigioniera della parte, e ha fatto il suo mestiere benissimo: non prendere posizione, sorridere, agitare la manina. È rimasta popolare perché non ha mai fatto un passo falso. L’unica volta quando è morta Diana, perché non ha messo la bandiera a mezz’asta. Ma Diana non era più membro della famiglia reale, dunque lei ha seguito la procedura. Nelle altre monarchie del Nord Europa non c’è questa divisione dei ruoli: c’è il re, per il resto, sono tutti sconosciuti. Qui tutti i membri fanno qualcosa».

È un’impresa, come diceva Elisabetta.

«Sì, esatto. Io la vedevo come qualcosa di teatrale, lei la considerava in modo più serio di me come un’impresa. E poi aveva anche un altro vantaggio Elisabetta».

Quale sarebbe?

«A differenza dei Capi di stato, che sono tutti ex politici, lei non doveva prendere nessuna decisione politica. Anche la premier, nel Regno unito, la sceglie la Camera. Quando i Beatles sono diventati popolarissimi, la nomina di Members of the british empire la decise il primo ministro. Lei non dovette avallare nulla delle rivoluzioni sociali, né la minigonna, né i capelloni, né la marjiuana. Le ha accettate in silenzio».

Lei l’ha mai incontrata?

«No. La regina era patron del Queen Mary College, dove io insegno. Il giorno in cui venne a fare la visita, andai a sentire Doris Lessing e lasciai il posto ai giovani colleghi. Tanto non avrei potuto chiederle se tifava per il Manchester United o il Liverpool, perché una regina non può rispondere a nulla, per timore di essere messa in difficoltà».

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