Barca: «Invece di riaprire il dialogo, si criminalizza il pacifismo»

Luca Monticelli La Stampa 12 ottobre 2022
Fabrizio Barca: “È in corso una terribile escalation in Ucraina, ma il tavolo delle trattative è vuoto”
L’ex ministro: «Criminalizzare il pacifismo è inqualificabile»

 

Fabrizio Barca, 68 anni, è stato ministro per la Coesione territoriale durante il governo Monti e guida il Forum Disuguaglianze
L’escalation innescata da Putin «è terribile, purtroppo nessuno sta lavorando per evitarla», dice Fabrizio Barca, economista, ex ministro del governo Monti e coordinatore del Forum Disuguaglianze e diversità. Invece di riaprire il dialogo, sottolinea, si «criminalizza il pacifismo».

Ha ancora senso una manifestazione per la pace?
«Le manifestazioni servono di certo quando si arriva a parlare con leggerezza di testate nucleari: è bene che i cittadini del mondo scendano nelle piazze a chiedere all’aggressore il cessate il fuoco e l’inizio di negoziati. Per capirci, pensiamo all’altro momento della storia in cui abbiamo temuto la catastrofe nucleare, l’ottobre 1962, la crisi dei missili di Cuba».

Era una vicenda ben diversa non trova?
«Certo, gli Usa avevano fallito quindici mesi prima l’invasione e si vedevano minacciati dalle atomiche sovietiche. Ma la differenza su cui vorrei attrarre l’attenzione è che allora le parti non hanno mai smesso di parlarsi secondo canoni e prassi codificate di un mondo “ordinato”. Oggi mancano canali di comunicazione, fa impressione l’abbandono di ogni terreno di confronto e negoziato».

In questo momento ragionare con Putin sembra impossibile.
«Durante i conflitti è sempre difficile comunicare, ma che ci sta a fare la diplomazia?».

Letta, Conte e Calenda hanno idee diverse sulla manifestazione per la pace. È un altro tema che rischia di lacerare il centrosinistra?
«Agli italiani importa assai poco dei posizionamenti personali. Occorre premere perché ci sia un percorso di confronto, in cui si parla dei diritti da preservare di un popolo e di come evitare la degenerazione bellica, anche con mosse temporanee. Bisogna sedersi a un tavolo e discutere, al momento a quel tavolo non c’è nessuno. Criminalizzare il pacifismo è inqualificabile».

Il prossimo congresso del Pd sarà una partita tra massimalisti e riformisti?
«Chi evoca questo scontro sa già da che parte stare… a chi piace il massimalista parolaio? La vera contrapposizione è tra chi crede che occorra solo “rammendare l’orlo del vestito”, nonostante questo sistema abbia prodotto la crisi economica, sanitaria, climatica e ora quella bellica. Questi sono i conservatori dell’esistente. Dall’altra parte ci sono le persone consapevoli che queste quattro crisi e l’incremento enorme delle disuguaglianze siano frutto di un paradigma che va riformato radicalmente. Radicali, appunto».

Il dibattito interno al Pd le sembra tra conservatori?
«Non vedo alcun dibattito, per ora non vedo contenuti».

Cosa propone?
«Noi del Forum Disuguaglianze e diversità non abbiamo dubbi: il modo di organizzare produzione, lavoro e vita non tiene. La buona notizia è che l’Italia sperimenta nel settore imprenditoriale, sociale e anche pubblico storie forti di innovazione. Non si tratta di inventare un’utopia irraggiungibile, ma di mettere a sistema ciò che il Paese già suggerisce. Ma la politica, a cominciare dal Pd, non ascolta».

Il lavoro che lei ha presentato nelle Agorà che fine ha fatto?
«Siamo al paradosso. A mio parere le Agorà rappresentano il momento più alto della gestione di Letta, l’intuizione che il dialogo con la società e con il privato non potesse avvenire solo con le primarie, ma con le idee. Una delle nostre proposte prevedeva la costruzione in Europa di una infrastruttura pubblica per la ricerca e lo sviluppo, in modo da non trovarci impreparati di fronte alla prossima pandemia. Questa idea è arrivata al Parlamento europeo grazie al Pd. Il Pd ne ha parlato in campagna elettorale? Per niente».

C’è un modello a cui la sinistra si deve ispirare?
«La ricostruzione di un partito della giustizia sociale e ambientale dovrebbe guardare dentro la pancia dell’Italia stessa, e in parte nella sua storia. Bisognerebbe prendere le intuizioni degli anni Settanta che hanno rappresentato un grande avanzamento sociale e portarle nel secolo attuale. Penso ad esempio a riprendere il filo del welfare universale avendo le donne al centro, o alle 150 ore, per dare ai lavoratori una formazione permanente».

Vede una questione femminile nel Pd?
«Questa pessima legge elettorale lascia la scelta ai vertici dei partiti: se il Pd ha poche elette, la scelta è loro. Il tema però riguarda il Paese e a me preoccupa leggere nel Pnrr solo tante chiacchiere sulle donne»

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