La scelta tra l’Europa reale e le antiche nazioni sovrane

Federico Fubini Corriere della Sera 16 ottobre 2022
La scelta tra l’Europa reale e le antiche nazioni sovrane
L’Italia non solo fa parte dell’euro ma ne dipende in gran parte dato che la Bce ci ha salvato a più riprese in questi anni e dato che la Ue ci sta offrendo altri 200 miliardi


Al secondo intervento in pochi mesi in un incontro di Vox, il partito dell’estrema destra spagnola, Giorgia Meloni ha usato un tono nuovo. Niente frasi urlate, niente liste di no («no ai burocrati di Bruxelles», eccetera). L a leader di Fratelli d’Italia ha parlato da vincitrice delle elezioni nell’ottava economia del mondo, consapevole delle responsabilità. «Tra qualche giorno saremo chiamati a trasformare le nostre idee in politiche di governo concrete — ha detto — come stanno già facendo i nostri amici della Polonia e della Repubblica Ceca e come spero che presto facciano i nostri amici svedesi».

Meloni qui si riferisce ai Paesi dell’Unione europea dove sono al potere partiti della famiglia politica che lei stessa presiede, i «Conservatori e riformisti». A Varsavia governa Legge e Giustizia, un partito tradizionalista cattolico che ha molti scontri con Bruxelles per le sue interferenze nei confronti del potere giudiziario. A Praga governa il Partito civico democratico del premier Petr Fiala, un liberista moderatamente euroscettico. A Stoccolma entreranno in coalizione i Democratici svedesi, una forza con radici xenofobe che da una dozzina di anni ha moderato la sua linea.

Ciò che hanno in comune queste forze, oltre al conservatorismo sulle questioni sociali, è semplice. Non sono nell’euro. Non è neanche nell’Unione europea l’altro grande partito della famiglia «Conservatori e riformisti»: i Tory britannici, artefici della Brexit.

Tutte queste forze, alleatesi, hanno scelto Giorgia Meloni come loro presidente e rappresentano una visione precisa — quanto legittima — del futuro. Vogliono un’Europa delle nazioni sovrane che cooperano liberamente, ma mantengono la propria autonomia; non vogliono un’Europa delle economie, delle istituzioni, delle società integrate fra loro al punto da essere un insieme pieno di diversità e contraddizioni ma, di fatto, interdipendente e inestricabile.

Sono due visioni distinte, poco compatibili fra loro. Infatti gran parte dei partiti di governo che vogliono l’Europa delle nazioni sovrane, coerentemente, restano fuori dall’euro o addirittura fuori dall’Unione europea. L’Italia di Giorgia Meloni invece è in una posizione diversa. Non solo fa parte dell’euro ma ne dipende in gran parte dato che la Banca centrale europea, comprando il nostro debito, ci ha salvato a più riprese in questi anni di fatto prestandoci quasi 700 miliardi di euro; e dato anche che l’Unione europea ci sta offrendo a condizioni di favore irripetibili altri 200 miliardi (e forse molto di più, ma lo vediamo tra poco) per rimettere a posto un Paese pieno di falle. Per l’Italia dunque è un po’ tardi per decidere di militare nel campo dell’Europa delle nazioni sovrane, qualunque cosa se ne pensi; siamo un’economia, una società, un sistema istituzionale inestricabilmente legato a un’Europa integrata. Dobbiamo accettarne i principi per averne i vantaggi e ciò metterà presto Giorgia Meloni di fronte ad alcune scelte.

Le contraddizioni naturalmente non sono solo a casa nostra, ad essere onesti. L’altro giorno Viktor Orbán è stato ricevuto con qualche onore a Berlino dal cancelliere Olaf Scholz. Il leader illiberale di Budapest si è persino permesso di ricordare ai capi-azienda tedeschi, riuniti per lui, che in Ungheria i loro impianti avranno sempre meno problemi che in Germania. Ovvio: lui ha disegnato per loro paradisi fiscali industriali e leggi del lavoro semi-schiavistiche. Lunedì Scholz e Orbán si sono stretti le mani davanti ai fotografi, sorridendo.

Detto che l’ipocrisia non è un’esclusiva italica, tuttavia, il tema dell’Europa resta e diventerà operativo dai prossimi mesi. Con questa inflazione, la Bce sta spingendo i tassi d’interesse e lo spread del debito di Roma su quello di Berlino verso livelli ai quali la stessa Banca centrale dovrà intervenire per proteggere l’Italia. Lo può fare con un nuovo strumento («Transmission Protection Instrument», Tpi) con cui può riprendere a comprare i nostri titoli di Stato. Tra un po’ sarà inevitabile, se continua così. In cambio la Bce chiede giusto che l’Italia si confronti con la Commissione europea sulle scelte economiche e di bilancio dei prossimi mesi. Ma con una guerra e una crisi energetica aperte, a Bruxelles non c’è nessuna voglia di chiedere la luna o di aprire un altro scontro. Niente pretese di tagli, tasse, sacrifici e austerità. Tutto quel che si dirà al governo, perché la Bce possa aprire l’ombrello, è un giuramento di Ippocrate: per prima cosa, astieniti dal fare danno. Significa (come minimo) riporre nel freezer tutta la panoplia di flat tax, pensioni anticipabili, strizzate d’occhio agli evasori e altre promesse dei partiti della coalizione in campagna elettorale. Meloni accetterà oppure, in nome dell’Europa delle nazioni, rifiuterà?

Ma facciamo un passo oltre. Nei primi mesi del 2023 si renderanno disponibili nuovi fondi del Recovery per prestiti a tassi agevolati a cui altri Paesi avranno rinunciato. L’Italia potrà chiedere e ottenere a Bruxelles un altro centinaio di miliardi per crescere e raddrizzare trent’anni di disinvestimenti. Scusate se è poco. Per farlo però servono programmi credibili e un’esecuzione impeccabile di riforme e investimenti già concordati con l’Unione europea. Anche qui dovremo decidere se aprire un conflitto sul Recovery già scritto dal governo uscente o invece puntare a rafforzarlo.

In sostanza l’Italia del nuovo governo sarà presto chiamata a scegliere fra l’Europa delle nazioni e l’integrazione europea. L’Europa delle nazioni sovrane è il miraggio in nome del quale i Tory hanno fatto la Brexit e ora si trovano avviluppati in una crisi finanziaria frutto di supponenza e arroganza. L’integrazione europea, il rapporto storico con la Francia, la Germania, la Spagna, Bruxelles (e i loro valori), è l’ambiente nel quale l’Italia vive da decenni.

Ugo Stille, su questo giornale, la chiamava la forza delle cose .

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