Xi controlla il partito: lotta alla corruzione, il terzo mandato, la nomina del successore

Tommaso Carboni La Stampa 18 ottobre 2022
La ragnatela del potere cinese: ecco chi comanda in Cina. Come ha fatto Xi Jinping a prendere il potere con i suoi fedelissimi
Xi ha messo i suoi uomini di fiducia in posti chiave, lanciando una vasta compagna anti corruzione per eliminare nemici

 

Nessuno dai tempi di Mao ha accentrato su di sé così tanto potere in Cina, e ne è la prova quest’ultimo congresso del Partito Comunista – il ventesimo – che si sta svolgendo a Pechino. I media statali, in preparazione dell’evento, si sono prodotti in un diluvio di lodi per Xi Jinping, l’attuale segretario generale, chiamandolo “timoniere”, “leader del popolo”, “navigatore”, l’’uomo che sta guidando la Cina verso “un grande ringiovanimento”. Quest’adulazione serve, tra le altre cose, a inculcare bene nella testa del popolo – e dei 2300 delegati di partito riuniti in città – che il leader supremo deve restare al comando per portare a termine i suoi obiettivi.

Xi Jinping infatti sarà quasi certamente rieletto a capo del partito, contravvenendo al limite valso finora dei due mandati quinquennali; manterrà anche la carica di presidente della commissione militare centrale (e a marzo, se tutto procede secondo i piani, sarò riconfermato nel ruolo di presidente cinese).

Dunque questo Congresso è soprattutto il palcoscenico del potere e delle conquiste di un uomo. Ma come ha fatto Xi Jinping a diventare così influente? Come ha fatto a togliere di mezzo i principali rivali della sua leadership? Il partito comunista cinese, dopo la violenza e il personalismo di Mao, aveva adottato negli anni una serie di regole, anche non scritte, per garantire un equilibrio tra le varie fazioni politiche, rispettando limiti di età dei funzionari ai livelli più alti. Xi ha eliminato queste restrizioni. Mettendo uomini di fiducia in posti chiave, lanciando una vasta compagna anti corruzione per eliminare nemici, è riuscito a svuotare le fazioni avversarie e a tenere in modo sempre più saldo le fila del potere. Ci è riuscito partendo senza grandissimi appoggi e poi contando su una serie di alleati fedeli in posti decisivi.

Quando nel 2012 è stato eletto per la prima volta segretario generale del partito comunista e presidente della Cina, Xi Jinping – allora sessantenne – era considerato privo di un gruppo ben definito di seguaci tra i dirigenti (questo malgrado Xi fosse figlio di un membro anziano e leader rivoluzionario di partito).

Il primo uomo chiave dello strapotere di Xi è stato un suo vecchio amico, Wang Qishan, eletto 2012 nel Comitato permanente del Politburo del partito comunista – l’organo di livello più alto del sistema politico cinese, composto da sette membri. Wang, “burocrate esperto”, scrive il Financial Times, venne incaricato di guidare una repressione senza precedenti come nuovo zar anticorruzione di Xi. Effettivamente la campagna era giustificata da un malaffare dilagante dentro il partito, ma presto divenne soprattutto uno strumento per epurare i rivali politici di Xi Jinping.

Tra le cadute più spettacolari quella di Zhou Yongkang: ex capo dell’apparato di sicurezza interna cinese nonché membro del Comitato permanente del Politburo; uomo che sembrava a tutti gli effetti intoccabile e che invece, in un’indagine altamente mediatica, venne processato e condannato all’ergastolo. Zhou Yongkang era alleato di Jiang Zemin, leader del partito comunista dal 1989 al 2002 e capo della cosiddetta “fazione di Shanghai”. La sua debacle indica quindi un indebolimento di quella fazione. A seguire, nel giro di pochi anni, 25 dei 205 membri del Comitato Centrale del partito vennero epurati.

Xi consolidò ancora di più il suo potere. Riconfermato nel 2017 alla guida del partito, riuscì anche a piazzare tre alleati stretti nel Comitato permanente del Politburo. Uno di loro, Zhao Leji, capo del dipartimento responsabile della gestione delle nomine statali, divenne il suo nuovo zar anticorruzione. Ma la svolta del 2017 è stata probabilmente un’altra: secondo una consuetudine ormai ben stabilita, Xi Jinping avrebbe dovuto usare il 19esimo Congresso per indicare il prossimo leader del paese. Ma evitò di farlo. Per la prima volta in più di un quarto di secolo, non è stato designato un chiaro successore al segretario generale in carica. Xi fece anche saltare i limiti di età dei funzionari più alti.

E così siamo giunti alla fine del suo secondo mandato. Xi Jinping controlla tutte le posizioni esecutive più importanti del governo: l’equilibrio è stato distrutto. Ad esempio, durante il suo primo mandato, la fazione di Jiang controllava le forze dell’ordine e la polizia mentre il gruppo fedele a Hu Jintao e Wen Jiabao guidava i dipartimenti di propaganda ed economia. Svanita la spartizione, Jinping ha accentrato su di sé il potere e si appresta a nominare i suoi alleati nei ruoli cruciali.

Gli esperti hanno individuato quattro potenziali nuove nomine nel Comitato permanente del Politburo. La loro elezione sarà la cartina di tornasole dell’influenza di Xi. Ecco i nomi: Chen Min’er (segretario del partito nella città sud-occidentale di Chongqing), Ding Xuexiang (uomo del partito a Shanghai, dove è stato capo di gabinetto per successivi segretari di partito), Huang Kunming (capo della propaganda cinese) e Li Qian (Segretario del Comitato del Partito di Shanghai).

Questi i fedelissimi. Ma gli esperti dicono che tra i papabili ad entrare nell’organo più alto, il Comitato permanente del Politburo, potrebbe esserci anche un alleato non così stretto – addirittura “una minaccia” per certi analisti, riporta il Guardian. È Hu Chunhua, 59 anni, attualmente vicepremier del consiglio di stato, che ha scalato i ranghi del partito attraverso la fazione nota come “Lega della Gioventù Comunista” (il gruppo di Hu Jintao e Wen Jiabao).

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