Crescono i tassi della Bce, gli effetti sono imprevisti

Federico Fubini Corriere della Sera 28 ottobre 2022
La Bce alza ancora i tassi dello 0,75%: rate dei mutui e prestiti più cari
Attorno alla Banca centrale europea si è snodata ieri una trama a sorpresa, di quelle che forse lasciano intravedere un punto di svolta. Al terzo maxi-aumento dei tassi deciso a Francoforte, il debito dell’Italia e i mercati nel complesso si sono comportati come se stesse accadendo l’opposto.

 

Il rendimento dei titoli pubblici è crollato
La Bce è impegnata nella stretta monetaria più rapida della sua storia, eppure negli ultimi sette giorni il rendimento dei titoli pubblici di Roma a dieci anni è semplicemente crollato: da poco meno del 5% – ai massimi dal 2012 – a meno del 4%. I tassi d’interesse ufficiali in area euro ormai hanno raggiunto i livelli più alti dal 2009 e l’aumento di ieri, assieme quello di un mese fa, è il più ampio mai deciso in un giorno solo dalla Bce negli ultimi vent’anni. Eppure anche lo spread fra Bund tedeschi e Btp italiani a dieci anni è sceso precipitosamente: giù di venti punti in poche ore, giù di cinquanta in poco più di un mese. Sempre ieri poi Christine Lagarde ha spiegato che la banca si prepara ad aumentare il rendimento dei depositi e il costo del denaro «ulteriormente». La presidente ha anche annunciato di fatto l’operazione che porterà la Bce, per la prima volta della sua storia, a ridurre il suo bilancio oggi da quasi novemila miliardi di euro. Dunque sta per ridursi la quantità di moneta europea in circolazione nel mondo. Eppure l’euro si è indebolito dell’uno per cento, tornando alla parità quasi esatta con il dollaro.

Segnali nuovi
Se il mercato reagisce come la Bce cercasse di espandere l’economia – quando invece impone una stretta – significa che qualcosa di nuovo sta accadendo o che nei messaggi dei banchieri centrali compaiono sfumature diverse da prima. In questa fase probabilmente sono vere entrambe le cose. Christine Lagarde in apparenza ieri non ha indicato un cambio di rotta, impegnata com’è a riportare sotto controllo un’inflazione che in area euro ormai sfiora il 10%. Alla premier Giorgia Meloni e al presidente francese Emmanuel Macron, che hanno espresso critiche e riserve sulla politica monetaria, Lagarde ha risposto senza polemiche ma senza arretrare: «Dobbiamo fare quel che dobbiamo fare – ha detto -. Non voglio fare commenti su discussioni politiche, noi banchieri centrali abbiamo una missione e tante persone sono preoccupate per l’inflazione e il costo della vita». Lagarde ha anche aggiunto che in dicembre il Consiglio direttivo di Francoforte deciderà come smettere di riacquistare alla scadenza i titoli comprati per 3.200 miliardi fra il 2015 e il 2021. E già ieri la Bce ha inasprito le condizioni dei prestiti ultra-agevolati fatti in anni recenti alle banche, in modo che queste ultime tendano a rimborsarli anzitempo.

Il percorso non cambia
Dunque la rotta non cambia, la stretta continua. Ma per la prima volta ieri la presidente francese ha citato varie volte una possibile recessione in area-euro fra i fattori che incideranno sulle scelte della Bce. La francese non parla più di rialzi per «diverse riunioni» del consiglio e pensa che la banca abbia già fatto «progressi sostanziali»: sfumature che fanno capire come l’aumento dei tassi a dicembre sarà minore di quelli d’autunno e a febbraio, forse, ancora più piccolo e per ora finale. Contribuisce a questa cautela l’idea che anche la Federal Reserve negli Stati Uniti possa rallentare nella sua serie di aumenti furiosi dei tassi: alla Bce in inverno potrebbe bastare qualcosa di meno, per evitare che l’euro crolli ancora di più sul dollaro.

Materie prime
In parallelo s’intravede un fenomeno nuovo anche fuori dalla torre di cristallo di Francoforte, sulle grandi materie prima. Il prezzo del gas resta alto, ma è sceso molto e attorno a questi livelli presto costerebbe più o meno quanto un anno prima: troppo per famiglie e imprese, ma non così tanto da alimentare nuova inflazione su base annuale. Quanto al petrolio, questo mese il taglio di produzione dell’Opec alleato alla Russia non è riuscito a far risalire i prezzi a causa della debole domanda globale: a questi livelli, da febbraio anche il Brent potrebbe non alimentare più altra inflazione. Persino l’indice dei prezzi alimentari dell’Onu resta alto in assoluto, ma non più di un anno fa. Così la frenata dell’economia globale ferma la corsa delle materie prime e potrebbe tamponare, pian piano, le fonti dei rincari Europa. La Bce potrebbe allora alzare il piede dall’acceleratore. Ma fino a quel momento l’Italia resta sul filo: il suo debito, nei prossimi mesi, può tornare sotto pressione in qualunque momento.

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