Un incontro, di storie e memorie, della comunità del Manifesto

Luciana Castellina il Manifesto 29 ottobre 2022
Un incontro, di storie e memorie, della comunità del Manifesto
Un intenso convegno sugli anni ’70 del Manifesto veneto, organizzato dall’Iveser, la sede lagunare dove sono raccolti i libri di Rossana Rossanda

Sono arrivati in una cinquantina, non più giovanissimi ovviamente, alcuni con in mano, un po’ sgualcite, le prime tessere del Manifesto: 1970. A quella data il Manifesto era ancora neonata rivista, ma già organizzazione, a cui ci si iscriveva perché da quando apparve il primo numero si capì che non si trattava solo di una pubblicazione.

Ricordo che ci assalirono da ogni parte d’Italia collettivi sessantottini di varia natura cui era apparso naturale non dover essere semplici lettori. Neppure noi, del resto, volevamo essere solo intellettuali che scrivevano mentre altri facevano.

STO PARLANDO del convegno tenuto lunedì a Venezia nella splendida sede alla Giudecca dell’Iveser (Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea), con una sala dedicata a Rossana che contiene tutti i suoi libri, affidati all’istituto da Doriana Ricci.

A Venezia non solo perché a questa città Rossana era molto legata per avervi passato l’adolescenza, ma perché qui, fra lei e la sinistra ingraiana locale, si era stabilito fin dagli anni ’60, uno stretto rapporto che ebbe poi sbocco, dopo la radiazione dal Pci, in un circolo un po’ speciale cui Rossana continuò sempre ad essere particolarmente legata.
FIGURA CENTRALE – del cui diario di prossima pubblicazione sta scrivendo l’introduzione, ci ha parlato al convegno la giovane storica Gilda Zazzara – Cesco Chinello. Operaio e dirigente importante della Federazione Pci,che non aderì al Manifesto ma ebbe un ruolo importante perché sempre garantì uno speciale rapporto fra noi, e soprattutto con Rossana, di una Federazione che a lungo rimase molto di sinistra.

Come lui, e del resto tanti altri di questa tendenza, anche il grande musicista Luigi Nono, che aveva ospitato nella sua casa la prima riunione del costituendo gruppo del Manifesto.

QUESTA SINGOLARE continuità fra le prime battaglie interne al partito degli anni ’60 condotte dalla c.d. corrente ingraiana – un confronto aspro che emerge già nella Conferenza operaia del 1965, gestita da Luciano Barca, che del settore era responsabile, con la collaborazione di Lucio Magri – e la nostra nuova eretica organizzazione, è stata ben colta dalla relazione introduttiva tenuta da uno dei fondatori del Manifesto veneziano (per una fase anche dirigente nazionale), Nico Luciani. (Fu proprio lui a scrivere “Porto Marghera verso i contratti” nel numero 2 della Rivista, una delle prime e poi tante cronache di fabbrica pubblicate sulla Rivista).

Proprio questa singolarità del Manifesto veneziano, confermata da uno straordinario giornaletto che Nico ci ha portato a rivedere – “Iniziativa comunista”- numero unico del “Centro d’iniziativa Il Manifesto” – novembre 1970 – redatto da un altro straordinario compagno operaio, Pietro Granziera.

A DIFFERENZA DI CHINELLO lui ha rotto gli indugi e qui si rivolge “ai militanti del Pci” con una “proposta”, illustrata su tre pagine fitte fitte in corpo 8 come erano spesso, per risparmiare, le pubblicazioni di allora.

Firmata insieme ad altri che avevano condiviso la scelta, sindacalisti, segretari di sezione, membri del comitato federale, fra cui Gualtiero Bertelli (già allora popolare cantastorie), lo stesso Nico Luciani, Gianni Fabbri, Cristiano Gasparetto, tutti presenti al Convegno, e tutti e tre provenienti da architettura. Quest’ultimo intervenuto sottolineando quanto abbia giocato nella costruzione di una comune forte identità dei nostri militanti la componente culturale e non solo immediatamente politica della loro formazione.

Sul giornaletto anche l’annuncio di un’Assemblea operaia, relatori Granziera e Pintor, e un’altra, con anche Rossana, tenuta alla facoltà di architettura. Una location non casuale come si vede: proprio qui si era tenuta già nel settembre ’68 la seconda assemblea operai e studenti (la prima era stata quella della statale di Milano) e anche per il ruolo molto significativo che a lungo quella facoltà continuò ad avere nella sinistra, per molti versi anche oggi.

VENEZIA IN QUEGLI ANNI era in effetti diventata un centro di iniziativa politico importante, perché Porto Marghera, area industriale già assai sviluppata durante il fascismo dal conte Cini, era ormai diventata uno dei più grossi centri industriali italiani.
E proprio qui si era sviluppato con anticipo, sin dalla metà degli anni ’60, il primo rapporto politico studenti-operai che sarebbe poi esploso ovunque nel ’68.

Fu inizialmente per opera del nucleo “operaista” animato da Mario Tronti e poi Massimo Cacciari con la rivista “Classe Operaia”, successivamente, quando ambedue abbandonano l’intervento attivo nella fabbrica (e si reiscrivono al Pci), portato avanti da Potere Operaio veneto di Toni Negri, oltre che dall’intera galassia della nuova sinistra, Manifesto incluso.

Una battaglia tutt’altro che unitaria, come risulta anche ora rileggendo per l’occasione tanti testi di allora. Il Manifesto prima molto critico verso un sindacato decisamente di destra, stabilì poi un proficuo rapporto col sindacato quando arriva a Venezia un segretario Cgil, Corrado Perna, che raccoglie invece la sostanza della ribellione operaia e ne veicola e legittima i contenuti.

PARECCHI GLI INTERVENTI – il convegno è durato molte ore – che mi dispiace non poter tutti riportare: finanche chi ricorda la propria militanza di quando era studente medio. Memorie che richiamano, non senza tristezza, i compagni che non sono più fra noi vivi, Franco Azara, per esempio, uno degli ultimi e più giovani dirigenti del gruppo.

E però non è solo amarcord, perché proprio dalle memorie emerge un tratto, del resto non solo veneziano, del Manifesto (che del resto emerge anche nei convegni promossi dall’ex Pdup a Rimini, il prossimo proprio sabato e domenica, il 29/30): la forte connotazione comune che ha lasciato la nostra storia.

Che fa sì che anche se per secoli con molti non ci si è più incontrati, è facile tutt’ora riconoscersi come comunità.

Un grazie a Giulia Albanesi, presidente dell’Iveser, che ha avuto l’intelligenza di cogliere l’interesse per Venezia di questa nostra esperienza. Rosssana ne sarebbe stata molto contenta.

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.