Autonomia, i dubbi di FdI e FI: “Serve prudenza”. Per ora resistenza passiva

Matteo Pucciarelli La Repubblica 18 novembre 2022
Autonomia, i dubbi di FdI e FI: “Serve prudenza”. E la grana finisce sul tavolo di Meloni
Vengono fuori le diverse radici culturali – autonomista la Lega, centralista la fiamma – e i differenti bacini elettorali di riferimento

 

Da una parte c’è l’entusiasmo leghista, come se fosse ancora la vecchia Nord animata dal sogno federalista, del ministro per gli Affari regionali Roberto Calderoli e dei presidenti di Regione del nord e del Carroccio, cioè Luca Zaia, Attilio Fontana e Massimiliano Fedriga. Dall’altra c’è la freddezza, la cautela, di Fratelli d’Italia e Forza Italia. Sull’autonomia differenziata proposta alla Conferenza delle regioni dal ministro vengono fuori le diverse radici culturali – autonomista la Lega, centralista la fiamma – e i differenti bacini elettorali di riferimento, e questo al di là dei passati exploit leghisti al sud e poi di FdI al nord.

Già oggi è previsto un confronto interno al governo sul tema specifico e di fatto i ministri coinvolti non leghisti, e con Giorgia Meloni in testa, sono intenzionati a portare avanti una linea comune con parola d’ordine “prudenza”. La quale in politica ha un significato ben preciso, ovvero una specie di rinvio fatto di vedremo, valuteremo, capiremo e così via. La palla presa e buttata in tribuna insomma, perlomeno per adesso.

“L’autonomia differenziata si farà, certo, ma con un equilibrio armonico tra nord e sud e secondo un quadro di coesione nazionale”, dice ad esempio Alfredo Antoniozzi, vicecapogruppo di Fdi alla Camera. “Non ho alcun pregiudizio ideologico ma nessuna fuga in avanti”, avverte il presidente della Calabria, Roberto Occhiuto (FI). Oppure c’è Luca Sammartino, vicepresidente della Regione Sicilia (di centrodestra): “Siamo pronti ad ascoltare, dialogare, parlare, ma la Sicilia e il sud devono recuperare il gap e i livelli di assistenza e poi discuteremo di autonomia differenziata. Vogliamo capire, approfondire e quindi rivendicare quanto spetta alla nostra Regione”.

Dopodiché Calderoli non si scompone, la sua idea è che l’autonomia alla fine possa convenire a tutti. Per questo il suo ministero ha in mente di preparare dei dossier, regione per regione, per indicare i benefici di una eventuale adesione al programma, su materie che ogni ente regionale può di fatto scegliersi. “Se poi qualcuno non è d’accordo, può sempre lasciare tutto com’è. Ma perché vietarla agli altri?”, è la sua riflessione nel dietro le quinte.

Il punto però è semplice: le regioni del nord spingono per ottenerla, non solo quelle di centrodestra, vedi ad esempio la Toscana; quelle del sud, vedendo l’interesse delle aree più ricche, temono che il disegno autonomista finisca per aumentare il divario economico tra le due aree del Paese, un gap che su competenze specifiche come ad esempio la sanità diventerebbe neanche lontanamente colmabile. A fronte della denuncia di centrosinistra e 5 Stelle di un disegno che spacca l’Italia in due, nella maggioranza i toni sono molto più felpati e interlocutori. Ma nella sostanza i timori non sono poi così dissimili. Per questo a fronte dell’attivismo leghista il resto della coalizione farà resistenza passiva.

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