L’Europa rischia l’autonomia produttiva tra Cina e Stati Uniti

Federico Fubini Corriere della Sera 24 novembre 2022
Habeck, ministro dell’Economia tedesco: «Putin ci credeva deboli ma ha sbagliato tutto. Ora l’Europa reagisca ai sussidi americani»
Il ministro dell’Economia e vicecancelliere tedesco Robert Habeck: «Sul gas no a tetti rigidi. La nostra proposta è una piattaforma comune per l’acquisto»

 

 

Che lezioni può trarre l’Unione europea dalla guerra in Ucraina?
«Putin pensava che l’Europa fosse debole, che la democrazia liberale fosse il sistema più debole — risponde il ministro dell’Economia e vicecancelliere tedesco Robert Habeck a un ristretto numero di giornali europei —. Ha sbagliato tutto, ha sottovalutato l’unità dell’Occidente nel sostenere l’Ucraina e ha sottovalutato il coraggio degli ucraini. Noi stiamo prendendo coscienza che in Europa abbiamo un potere e una forza enormi, che possiamo fare la differenza e non permettere ai dittatori di prendersi dei Paesi».

Ma l’Europa è davvero pronta per le nuove realtà geopolitiche?
«La guerra russa contro l’Ucraina mostra che la globalizzazione è cambiata. È finita la fase in cui molti pensavano che i mercati comandassero e la politica dovesse starne fuori. Anche prima era un’idea sbagliata. Quando si tratta di energia, commercio, infrastrutture, non esistono decisioni impolitiche. Ora l’Europa deve riunire le proprie forze o ci perderemo tra le superpotenze di Cina e Stati Uniti».

Sull’energia l’Europa fatica a trovare risposte comuni…
«Abbiamo reagito rapidamente. Guardiamo alle diverse fasi della guerra: all’inizio abbiamo concordato di sostenere l’Ucraina, di fornire armi e sanzionare la Russia. In quel momento il gas continuava ad arrivare da Mosca, poi in estate la situazione è cambiata e ci siamo concentrati sulle forniture di energia e sull’aumento dei prezzi».

Ma la decisione finale sull’energia arriverà forse a dicembre. Durante il Covid l’Ue era stata più veloce.
«La reazione all’inizio del Covid erano stati i lockdown. In questo momento, il nostro compito è tenere in piedi l’economia: chiudere qualcosa è sempre più facile che farla funzionare. Inoltre, la pandemia è stata uno choc che ha colpito tutti gli Stati membri più o meno allo stesso modo. Lo choc da gas è asimmetrico: colpisce la Germania o l’Europa orientale più duramente dei Paesi dell’Europa occidentale. Ci servono misure differenziate».

La Germania sta bloccando una soluzione europea opponendosi a un tetto al prezzo?
«Non stiamo bloccando. I governi dell’Unione hanno deciso a Praga un tetto flessibile, dinamico e intelligente che scatti nelle fasi di prezzi eccessivi. Ma se si tratta di introdurre un tetto di prezzo fisso nel mercato sono scettico, perché sarebbe o troppo alto o troppo basso. Sul gas in agosto abbiamo avuto prezzi di 350 euro per megawattora. Quale sarebbe stato allora il giusto tetto? 200, 180, 150? Ora i prezzi sono scesi e potremmo addirittura scendere sotto i 100 euro. Quale sarebbe ora il tetto adeguato?».

Qual è la migliore risposta comune allora?
«La soluzione migliore che abbiamo trovato è una piattaforma comune per l’acquisto del gas. Le grandi compagnie dell’energia dovrebbero usare il loro potere di mercato in Europa per far scendere i prezzi, non per competere fra loro con offerte al rialzo».

L’Inflation Reduction Act (Ira) di Joe Biden — centinaia di miliardi di sussidi all’industria — rischia di far perdere all’Europa la sua base produttiva con la delocalizzazione degli investimenti negli Usa? L’Ue deve cambiare approccio per non farsi schiacciare tra Cina e Stati Uniti?
«Dovevamo cambiare anche prima. Non possiamo permetterci processi che richiedono 12 anni per costruire una centrale a idrogeno! Sull’Ira, è positivo che gli Stati Uniti si impegnino per avere un impatto neutro sul clima investendo nella transizione verde. Ma dobbiamo fare attenzione a garantire un campo di gioco equilibrato. Le tecnologie verdi si sviluppano meglio in condizioni di concorrenza leale, mentre il protezionismo paralizza l’innovazione. Il rischio non è tanto di perdere la nostra base industriale, ma che la prossima ondata di innovazione non avvenga in Europa. Perché l’Ira si occupa delle novità più cool…».

Per esempio?
«Semiconduttori, batterie, elettrolizzatori, industria solare, eolico. Noi non abbiamo più un’industria solare nel nostro continente, è tutto in Cina. Ma stiamo lavorando alla creazione di una nuova industria solare in Germania e in Europa. Dobbiamo evitare che questo venga messo a rischio dall’Ira, non solo per l’enorme quantità di denaro offerta ma anche per la rapidità del processo decisionale. In ogni caso, dobbiamo fornire una risposta europea forte».

Come potrebbe essere?
«Decisioni più rapide, sussidi, approvvigionamento di prodotti locali e altri tipi di sostegno finanziario per le aziende».

Sussidi nazionali o europei?
«Sempre in un quadro europeo. Si potrebbero utilizzare i fondi europei del piano RePowerEU. Ma potrebbe anche significare che i governi versano sussidi nel quadro delle regole europee».

Bruxelles deve adattare il quadro degli aiuti di Stato?
«Dobbiamo diventare più veloci e consentire alle nostre aziende di prosperare nella competizione globale, soprattutto grazie alla leadership tecnologica. Costruiremo una piattaforma europea per le tecnologie di trasformazione, per rafforzare il nostro potere innovativo. Vogliamo accelerare le capacità di produzione industriale in Germania e in Europa per le tecnologie necessarie agli obiettivi del Green Deal. Tra queste l’eolico, il fotovoltaico, gli elettrolizzatori, le reti e le infrastrutture elettriche e le pompe di calore. Abbiamo bisogno di più capacità industriale in Europa per soddisfare la crescente domanda, anche su materie prime e componenti».

 

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