La luna di miele del governo è finita

Stefano Folli La Repubblica 6 dicembre 2022
Prima frattura con l’establishment
A quasi due mesi e mezzo dalle elezioni del 25 settembre, il governo di destra-centro si presta a una prima valutazione. Soprattutto sotto l’aspetto politico.

Si diceva in ambienti della sinistra che non sarebbe durato più di cinque o sei mesi: travolto dalle sue contraddizioni e dal conflitto tra sovranisti ed europeisti, si sarebbe presto schiantato. L’Unione, si aggiungeva, non avrebbe sopportato l’anomalia italiana, suscettibile di contagiare altre nazioni: a cominciare, s’intende, dalla Francia dove esiste un’estrema destra lepenista forte e agguerrita.

Erano giudizi legittimi, fondati sull’idea che il primo esecutivo affidato a un partito estraneo, in origine, al patto repubblicano, non avrebbe retto alla prova dei fatti. Oggi nessuno o quasi sostiene più la tesi del governo di breve durata. La maggioranza è nervosa ma abbastanza solida, anche perché né Berlusconi né Salvini hanno alle viste qualche alternativa. E per la verità Salvini deve badare a se stesso, considerando che la Lega non è più il monolite di una volta: vedi Zaia e persino il vecchio Bossi. Quanto all’opposizione, tutti hanno capito che il Pd è all’anno zero, in attesa di un nuovo gruppo dirigente. Al tempo stesso è difficile credere che i 5S di Conte, pur efficaci nel loro massimalismo, siano portatori di un progetto di governo: semmai ne hanno uno per disarticolare il Pd.

Il punto di forza del destra-centro resta comunque il temperamento e la volontà di ferro della presidente del Consiglio. Basta questo per concludere che non s’intravedono rischi d’instabilità all’orizzonte? Sì e no. Sì, se consideriamo il quadro generale qui descritto. No, se valutiamo le insidie lungo il cammino di una maggioranza che deve ancora definire il proprio orizzonte a lungo termine. Il che presuppone di chiarire in primo luogo il rapporto con un certo establishment italiano ed europeo. L’aspra critica venuta dalla Banca d’Italia – e la replica fuori misura del sottosegretario Fazzolari – dimostra che le zone d’ombra sono persistenti e la premier senza dubbio se ne rende conto. È un fatto che finora il governo a guida Fratelli d’Italia ha evitato con cura lo scontro con l’establishment finanziario. Avrebbe potuto farlo, ma avrebbe dato ragione a chi si aspettava il passo falso dei “sovranisti”. Peraltro l’impianto della legge di bilancio, hanno notato diversi osservatori, si pone in continuità sostanziale con Draghi con alcune eccezioni. Un paio delle quali hanno provocato la reazione di Bankitalia: il tetto del contante e la questione dei pagamenti via Pos.

È come se la presidente del Consiglio avesse voluto dare un po’ di soddisfazione agli elettori più sospettosi verso il sistema bancario (ma forse sono soprattutto elettori di Salvini). In sostanza c’è un elemento di contraddizione tra la cornice generale della manovra e il punto sul contante/Pos. Il fatto che sia stato subito rilevato da via Nazionale, diciamo senza sconti, lascia presumere che gli spazi di manovra per il governo siano davvero irrisori. Del resto, la stessa Meloni aveva messo le mani avanti, quando ha spiegato negli ultimi giorni che sui 60 euro in contanti era in corso una discussione con la Commissione. Un modo per dire: noi abbiamo preso la nostra decisione, ma se saremo costretti rispetteremo le regole europee. Si torna così al punto iniziale: il governo “sovranista” lancia segnali su temi tutto sommato secondari, ma al dunque non intende sfidare l’establishment perché sa di non avere la forza per uscirne vittorioso. Dove vittoria, in questo caso, vorrebbe dire minare la credibilità dell’Unione. È evidente che non è questa la linea dell’esecutivo Meloni. D’altra parte, la grande prudenza non evita la reprimenda di Bankitalia, con probabili riflessi presso la Bce. Per certi aspetti si dimostra che la luna di miele del governo con gli altri poteri, ammesso che ci sia mai stata, è finita.

 

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