Giustizia, perché il cambio di passo

Stefano Folli La Repubblica 7 dicembre 2022
Giustizia, perché il cambio di passo
La scelta della premier per riunire la coalizione e distogliere l’attenzione dalla manovra

 

 

Nel merito l’intervento del ministro Guardasigilli al Senato può essere condiviso o no, come è ovvio, tuttavia il suo significato politico è molto chiaro. È un cambio di passo del governo sul terreno più scivoloso, quello della riforma della giustizia. Nordio è stato esplicito, quasi sferzante, su tutti i temi più controversi: l’abuso delle intercettazioni “usate per delegittimare”, l’obbligatorietà dell’azione penale “diventata arbitrio”, gli eccessi della custodia cautelare e in particolare il nodo rovente: la separazione delle carriere in magistratura. Questo punto è accennato, ma in modo tale da non lasciare dubbi: “Non ha senso che il pubblico ministero appartenga allo stesso ordine del giudice perché svolge un ruolo diverso”.

Qualcuno ha subito parlato di “rivoluzione garantista” e certo Nordio ha tenuto fede alla sua impostazione liberale, testimoniata negli anni da decine di articoli e interventi nel dibattito pubblico. Resta da vedere se i fatti seguiranno le intenzioni: una riforma così ampia e profonda, ieri solo intravista, implica non solo alcune correzioni alla Costituzione, ma soprattutto la capacità di reggere un confronto politico che sarà aspro in Parlamento e nel Paese. E sarà altrettanto duro – è facile prevederlo – con alcuni settori della magistratura, gli stessi che già avevano protestato contro la riforma Cartabia, peraltro assai meno radicale di quella prospettata da Nordio.

Ci sarà tempo per parlarne. Ora prevale il risvolto politico e non stupisce che la premier Meloni abbia subito dichiarato il sostegno alla linea del suo ministro, da lei tenacemente voluto a via Arenula. La presidente del Consiglio ha bisogno di allargare il respiro dell’esecutivo. Le serviva un tema forte su cui riunire la sua maggioranza, da Berlusconi a Salvini, indicando una prospettiva di lavoro che nella migliore delle ipotesi abbraccerà un paio d’anni e forse più. In due parole, occorreva uscire dalla difensiva. Parlare di “Pos” e di uso del contante può andar bene per ventiquattro ore, ma poi diventa un po’ stucchevole per gli stessi sostenitori della riformetta, peraltro già semi-bocciata dall’Unione europea. E il terreno si stava facendo sdrucciolevole per diversi motivi. La polemica contro la Banca d’Italia, accesa da uno dei più stretti collaboratori della premier, si è subito rivelato un errore, magari solo di ingenuità. E la tentazione di attribuire a Mario Draghi le difficoltà rispetto al Pnrr (ritardi e alcune incoerenze nelle richieste) è un’altra trappola in cui qualcuno del centrodestra rischia di cadere. Lo stesso presidente della Repubblica ha consigliato, tra le righe ma non troppo, di fare attenzione.

Solo chi ignora il credito di cui Draghi continua a godere sul piano internazionale può commettere un simile passo falso. La premier è persona abile e senza dubbio ha avvertito il pericolo. Ma appunto per non essere costretta ogni giorno sulla difensiva, ha capito di dover giocare anche su altri tavoli. Niente come il funzionamento o il non funzionamento della giustizia suscita interesse e apre discussioni. È questione che tocca in modo diretto la vita di milioni di italiani, molti dei quali hanno sperimentato sulla loro pelle il costo di un sistema inefficiente. Senza contare che tale inefficienza si riflette sul terreno economico, disincentiva gli investimenti in Italia, respinge in molti casi i capitali stranieri. In breve, ce n’è abbastanza per giustificare un nuovo progetto di riforma, stavolta nella chiave liberale scelta dal centrodestra al governo. Poi si valuteranno nel merito le proposte e anche l’opposizione in cerca di se stessa potrà giovarsi di una battaglia ideale su temi concreti. Magari sottraendosi allo scenario manicheo di “garantisti” contro “giustizialisti”.

 

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