Affaristi, lobbysti e speculatori: perché è facile corrompere l’Europa

Lucia Annunziata La Stampa 14 dicembre 2022
Affaristi, lobbysti e speculatori: perché è facile corrompere l’Europa
L’Ue è diventata troppo grande e influente rispetto al sogno originario dei fondatori. Nei suoi palazzi nuovissimi è cresciuto un governo burocratico poco controllabile

Alcuni deputati del Parlamento europeo partecipano a un dibattito sul Qatargate e la necessità di maggiore trasparenza nelle istituzioni europee
Spunta subito la mela. Marcia, ovvio. Ma a quella ci ha già pensato Politico che titola domandandosi «Alcune mele marce o un intero barile?». Poi c’è l’altra, il così fan tutti, «la corruzione è un’offerta, poi dipende da chi l’accetta», teoria qualunquista ma funziona sempre come la sua appendice «sinistra lo fa, come lo fa la destra». E quella, fin qui ottima ma forse non vera, di “les italiens…”.

Il muro delle scuse è tuttavia durato solo poche ore, esattamente 24, il tempo cioè di far uscire le anticipazioni e ritrovarsi il giorno dopo con altre perquisizioni, 19 abitazioni private, e più di un milione di euro recuperati, per capire che forse si tratta solo dell’inizio. «C’è una guerra contro la democrazia in Europa» dice la Presidente Metsola, meno rassicurante e rassicurata del giorno prima, mentre il suo Parlamento fa cadere la vicepresidente Greca Eva Kaili.

E se una “guerra” all’Europa, e dovremmo aggiungere “dentro l’Europa”, c’è di sicuro, forse prima di gridare indignato, il vertice Ue dovrebbe innanzitutto fare un esercizio di realismo su se stesso. La corruzione è infatti un rapporto fra domanda e offerta, e se è vero che il Qatar ( ma è solo il primo Paese nominato) ha molto da ottenere dall’Ue, occorrerebbe domandarsi, da parte dei vertici europei, cosa hanno da guadagnarci, e perché , i parlamentari Ue e i loro numerosi satelliti del sottobosco di Bruxelles.

Nessuna risposta misteriosa, del resto, a questa domanda. Le torri di Bruxelles, oggi in particolare, dopo il Covid e con la guerra in corso, sono diventate la casa di un potere la cui forza e consenso sono cresciuti in maniera esponenziale e rovesciata rispetto alla attuale situazione faticosa, delle singole nazioni che ne fanno parte.

Molta acqua è passata infatti dal 19 marzo del 1958, quando si riunisce la prima Assemblea Parlamentare Europea, a Strasburgo con Robert Schuman presidente, passata poi a chiamarsi Parlamento Europeo il 30 marzo del 1962. Gli anni ’70 sono forse i migliori, con la prima impennata di adesioni (a Italia, Germania e Francia, si uniscono i Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Danimarca, Irlanda, Regno unito) e il glorioso passaggio alla democrazia, nel 1974 e 1975, del Portogallo dopo la caduta di Salazar, della Grecia post colonnelli, e la morte in Spagna di Franco. Nel 1986 a febbraio viene firmato l’Atto Unico Europeo per creare un mercato unico, e il 13 giugno del 1987 nasce Ermasmus, con cui oltre dieci milioni di studenti si laureeranno negli anni a venire. Il muro di Berlino che cade nel 1989 è una sorta di coronazione del progetto europeo, dentro cui entra per la prima volta anche un pezzo e forse il più importante della ex presenza sovietica nel continente. Da quel momento, gli anni 10 del nuovo secolo segnano la indiscussa espansione del governo Ue a 27 paesi (poi arriveranno a 28), con dentro buona parte della ex area comunista. Insieme firmano il Trattato di Lisbona, che modifica tutti gli altri trattati precedenti, impegnando la nuova compagine politica continentale a un governo efficiente e soprattutto trasparente, in difesa di democrazia, e bene comune (sviluppo comunitario). Il primo dicembre del 2009 il Trattato, firmato da tutti, entra in vigore.

È questo forse, nel 2009, il punto più altro del “sogno” europeo e di chi lo aveva immaginato. Ma il 2009 è anche forse l’ultimo anno del vecchio mondo dell’ottimismo e dell’espansione occidentale. Nel 2008 è scoppiata la grande crisi finanziaria che indica la prima vulnerabilità del modello globale in generale, e di un modello politico così esteso come quello europeo. Da allora comincia un’altra storia. L’Europa buona, infinitamente perfetta delle promesse, finisce insieme al “salvataggio” dei suoi Paesi membri: i criteri di Maastricht salvano e bruciano la Grecia, e attanagliano altre capitali, gli attentati terroristici del 2015 portano la guerra a Parigi, Bruxelles, Londra; un milione di profughi arriva a piedi e dal mare, in Europa, dal Medioriente, dalla Siria e dall’Africa. È un altro scossone al sogno di pace della fondazione: l’Europa si difende dai migranti ricorrendo al più bieco sistema di controllo – finanziare stati frontalieri come la Turchia e la Libia perché fermino i flussi di arrivi. Nel 2014 la Russia annette la Crimea. Nel 2016 il risveglio dal sogno europeo ha invece il nome dell’abbandono del Regno Unito, la Brexit.

È il decennio più difficile, da cui l’Europa esce boccheggiando. Divisa politicamente, contestata, preda di un vero e proprio assalto alla diligenza. Nel 2019 alle elezioni europee si forma, ispirato dal successo della Brexit e finanziato da Putin, un fronte sovranista che tenta la scalata al governo di Bruxelles. «Vinceremo e cambieremo l’Europa» è il loro slogan. Perdono ma per poco, e il nuovo governo Ue si lancia in un’operazione di consolidamento del proprio potere che costruirà in circostanze drammatiche: l’arrivo del Covid 19, nel gennaio del 2020, e nel febbraio del 2022 l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia.

Le due crisi offrono all’Europa l’occasione per ridefinirsi, diventando nei fatti la tolda di comando della gestione di tutti i bisogni di 28 Paesi, tramite anche una cooperazione fianco a fianco e a sempre maggior caratura politica della Bce. È un effettivo governo centrale. Fra polemiche certo e discussioni. Ci si divide sul significato dell’Europa, si rafforzano movimenti antieuropei, divisioni ulteriori nascono contro l’intervento Euro/Nato a favore dell’Ucraina: un processo lacerante ma reale, attraverso cui l’Europa diventa sempre più un vero governo. La guerra all’Europa denunciata dalla Metsola è anche essa prova, sia pur rovesciata, della importanza che ha raggiunto negli equilibri mondiali.

Un successo. Con un lato buio. Questa Ue così forte, è diventata forse in questa sua crescita troppo grande o troppo influente per quello che voleva essere – il sogno originario.

Bruxelles è oggi anche l’unico luogo nel continente che ha i soldi ( e tanti) e decisionalità su come e quando spenderli. In una Europa che soffre e arranca, il suo governo è un faro che attira, nel bene e nel male, tutti: i giovani ambiziosi, gli intraprendenti lobbysti e tutti i sottoboschisti alla ricerca di speculazione. Potere militare, culturale, civile – sogno sostenuto da un senso di ingegneria sociale meccanica – hanno fatto di questo governo di tutti noi una sorta di luogo extraterrestre riservato a una nuova élite. I suoi palazzi, nuovissimi, attraversati da scale e corridoi infiniti, sono popolati di migliaia di figure tutte molto simili nelle loro uniformi e nel loro esagerato uso di sigle incomprensibili. A momenti ritratto di una estetica distopica.

Forse qualcosa di troppo è nato in quelle aule: un governo troppo burocratico, troppo grande per poter essere davvero controllato. Il fatto che ci sia al vertice del Parlamento un presidente con 14 vicepresidenti è il ritratto di un potere ridondante, in cui l’accordo fra nazioni è più una spartizione che un accordo. Un sistema grasso, grosso ed arrogante. Di cui non è difficile dunque capire quante sono le intersezioni e i buchi in cui si può infilare ogni iniziativa e ogni corruzione. Lo scandalo Qatar potrebbe avviare la prima riforma europea cui l’Ue si deve obbligare, invece di obbligarla ad altri. Un cambio di passo. Un poetico atto di giustizia. (Fine della prima parte)

 

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