Eleonora Martini il Manifesto 27 dicembre 2022
Fuga dal Beccaria, quattro detenuti ancora ricercati
NATALE CON I TUOI. Don Rigoldi: «L’anno vissuta come un’avventura, a quell’età non si rendono conto»
Hanno divelto una tavola di legno nell’area interessata dai lavori di ristrutturazione che vanno avanti da anni, e sono scappati via. Non è stato difficile: dal cortile di passeggio sono saliti sull’impalcatura montata sul muro di cinta. Ieri però dei 7 ragazzi detenuti evasi nel giorno di Natale dall’Istituto penale minorile di Milano «Cesare Beccaria» (due dei quali maggiorenni, 4 su 7 italiani di prima generazione), tre sono stati già rintracciati dal Nucleo investigativo centrale della Polizia penitenziaria, e riportati in cella. Si cercano ancora gli altri, con posti di blocco in tutta la regione Lombardia.
«ALCUNI DI LORO avevano avuto il permesso per andare a casa per le feste ma è stato loro revocato in seguito ad una infrazione disciplinare», riferisce al manifesto il garante dei detenuti di Milano, Francesco Maisto. Subito dopo la fuga, altri detenuti hanno dato fuoco ad alcuni materassi rendendo inagibile una parte dell’istituto, con un bilancio di quattro agenti intossicati per il fumo e ricoverati, ma non in gravi condizioni. La situazione è tornata sotto controllo solo a tarda sera e grazie all’intervento di don Gino Renoldi, storico cappellano del Beccaria.
«È STATA UNA SPACCONATA di carattere impulsivo, ma i veri problemi del Beccaria sono altri e cristallizzati da tempo», spiega ancora Maisto. A parte i lavori in corso che proseguono a singhiozzo da 17 anni, da 15 anni non c’è un direttore stabile, tanto per cominciare. «Pur nella professionalità – puntualizza Maisto – c’è stato un turn over di reggenti che hanno già altri incarichi e sono direttori di istituti penali per adulti, mentre il direttore di un istituto minorile deve avere una formazione diversa». Inoltre, a causa di quei lavori infiniti, «da almeno due anni e mezzo, i giovani arrestati vengono trasferiti a centinaia di chilometri da casa».
«Intanto era Natale e il Natale mobilita la voglia di essere da qualche altra parte – racconta don Renoldi – Volevano spaccare tutto, sono andato su di corsa e dopo un po’ hanno anche smesso».
E ieri, mentre la Lega, incalzata da alcuni sindacati penitenziari, coglieva l’occasione per promettere più repressione, più soldi e più personale (mentre nella legge di Bilancio ha tagliato proprio ed esplicitamente i fondi previsti per la polizia penitenziaria), «i ragazzi sono tornati tutti blindati, super controllati e sono anche tranquilli», ha riferito ancora il cappellano. «La vivono come un’avventura, a questa età non sono mica consapevoli – spiega Renoldi – Il fatto che questi sette la pagheranno cara e anche più in generale ci sarà un restringimento della disciplina, non ce l’hanno mica in mente, non è roba da 16-17enni. Non torneranno da eroi perché andranno a finire in altre carceri in giro per l’Italia».
NON CHE ALL’INTERNO del Beccaria (46 ragazzi per una capienza massima di 31) non siano rinchiusi giovani anche molto violenti: ad agosto di quest’anno, per esempio, un sedicenne di origine egiziana è stato stuprato e torturato da quattro altri ragazzi, capeggiati da un giovane ivoriano da poco maggiorenne coinvolto anche in un’inchiesta sulle trapper Baby gang e Simba La Ru. Ieri, il direttore del dipartimento giustizia minorile, Cacciapuoti, recatosi al Beccaria, ha annunciato l’assunzione di nuovi educatori e la formazione di 57 nuovi direttori per carceri minorili e di adulti (tutto già previsto da tempo).
L’episodio è «grave» ma, avverte il Garante nazionale dei detenuti Mauro Palma, è «sbagliato gettare disvalore su un sistema che funziona». Piuttosto, bisogna riflettere – aggiunge Palma – sulla «maggiore difficoltà che la privazione della libertà determina oggi in giovani complessivamente più fragili che in passato. In particolare, perché hanno costruito – e costruiscono – la propria apparente identità attraverso sistemi virtuali di comunicazione che hanno una scarsa capacità di connessione con la durezza di una situazione reale quale è la privazione della libertà. All’interno di una istituzione detentiva, dove ovviamente si interrompe quel tipo di connessione, anche perché non si ha più il cellulare che sembrava comprendere tutto il proprio mondo, ci si ritrova soli – conclude Palma – in una situazione che non si sa gestire, se non con rabbia e fuga».