Eugenio Occorsio La Repubblica 28 dicembre 2022
Io, mio padre e Ordine Nuovo
A beneficio della memoria collettiva, è bene ricordare – in un clima di surreali celebrazioni di Rauti, Almirante, l’Msi e tutto il paraphernalia neofascista – che lo Stato italiano non processa ideologie, processa fatti.
Pestaggi, aggressioni, attentati – intercalati da seminari sulle “tecniche di guerra rivoluzionaria” – erano la pratica corrente di Ordine Nuovo, fondato nel 1956 da Pino Rauti che porta la responsabilità politica di tutti gli atti del gruppo. Nel 1973 il pm Vittorio Occorsio, mio padre, mise 43 dirigenti di On sotto processo per violenza e apologia, ottenendo la condanna di trenta di essi. Fu l’inizio dell’inferno: minacce, scritte sui muri (“Occorsio boia”), intimidazioni di ogni tipo, telefonate notturne.
Tutta la famiglia sotto scorta. La situazione degenerò quando il pm chiese per la prima volta l’applicazione della legge Scelba del 1953 e ottenne dal ministro degli Interni, Paolo Emilio Taviani, lo scioglimento di On per ricostituzione del partito fascista.
Ma all’ombra della clandestinità On non aveva cambiato pelle, e mio padre istruì – l’azione penale è obbligatoria – un nuovo processo contro 111 personaggi dello stesso entourage. Rauti si era riunito al vecchio sodale della “guardia nazionale repubblicana” Giorgio Almirante nel 1969.
Con loro un altro “camerata eccellente”, Licio Gelli. I reduci di On si erano messi agli ordini del “capo militare” Pierluigi Concutelli. «Questi sono veramente pericolosi», mi confidò mio padre. Il secondo processo doveva cominciare nell’ottobre 1976: ma il 10 luglio il “capo militare” sistemò a suo modo la questione con due raffiche di mitra sotto casa. Pochi giorni prima mio padre aveva interrogato Gelli. La scorta ci era stata appena tolta, nessuno ha mai spiegato perché.
Concutelli firmò l’attentato con un volantino: “La giustizia borghese arriva all’ergastolo, quella proletaria va oltre”. In effige l’ascia bipenne e la dicitura “Movimento politico ordine nuovo”, la stessa del 1956. Gelli è stato condannato a Bologna per la strage nel 2022: 46 anni dopo essere andato per la prima volta a Piazzale Clodio per entrare nell’ufficio di mio padre.