Meloni imbarazzata dal ritorno nostalgico dei suoi maestri

Emanuele Lauria La Repubblica 28 dicembre 2022
Caso Msi, l’eterno ritorno alle origini buie che ora imbarazza la premier Meloni
Caso Msi, l’eterno ritorno alle origini buie che ora imbarazza la premier Meloni
Pochi giorni fa la premier aveva parlato dell'”ignominia delle leggi razziali”. Le parole di La Russa e Rauti fanno riemergere le ambiguità sul passato post-fascista

 

Solo otto giorni fa Giorgia Meloni era scoppiata in lacrime al museo ebraico, durante la cerimonia dell’accensione delle luci dell’Hanukkah. Aveva parlato dell'”ignominia delle leggi razziali” e aveva abbracciato la presidente della Comunità, Ruth Dureghello, che a sua volta aveva riconosciuto come le parole della premier “contribuiscano a contrastare definitivamente le ambiguità che in una parte del Paese sono ancora presenti sul fascismo”. Un percorso di riconciliazione storica che ieri, con l’uscita del presidente del Senato Ignazio La Russa per celebrare la nascita dell’Msi, ha subito uno stop. Basti leggere le dichiarazioni di condanna che la stessa Dureghello, e Noemi Di Segni, hanno pronunciato. Ed è questo aspetto, più che il contenuto in sé del ricordo di La Russa, dedicato al padre, ad avere indispettito l’inquilina di Palazzo Chigi. È l’idea di un passo indietro, in un lungo processo di affrancamento dalle polemiche sulle “radici” dell’attuale destra istituzionale, a irritare Meloni. Che è rimasta tutto il giorno in silenzio, come i suoi più stretti collaboratori, ma ha sentito al telefono la seconda carica dello Stato (che è anche uno dei fondatori di Fratelli d’Italia) e pare aver espresso uno scarso apprezzamento per l’accaduto. D’altronde, almeno di recente, pur rivendicando la sua storia di militante di destra, Meloni ha fatto un deciso passo avanti nell’abiura del passato: “Non ho mai provato alcuna simpatia per i regimi, fascismo compreso”, aveva detto in aula della Camera nel discorso d’insediamento. Le dichiarazioni di La Russa (e Isabella Rauti) la mettono di nuovo in una posa guardinga: se c’è un termine che la premier ha sempre stigmatizzato è “nostalgia”.

Però la storia di questa destra – e anche della sua destra che mantiene la fiamma nel simbolo – è anche una storia di cedimenti a quel sentimento. Non fosse altro che per un fatto generazionale, o di memoria per i defunti. Il La Russa che ieri ha voluto ricordare il padre Antonino – strenuo sostenitore dell’Italia del Duce, partito volontario per il fronte nordafricano durante la Seconda guerra mondiale – è lo stesso che al funerale del genitore omaggiò la bara con il saluto romano: è stato il medesimo presidente del Senato a rammentarlo, nel commentare analogo gesto fatto dal napoletano Sergio Rastrelli. “Un gesto affettuoso”, parola di La Russa. E la bufera di ieri giunge poco dopo un altro intervento che ha fatto discutere, quello sulla partecipazione del numero uno di Palazzo Madama alle celebrazioni del 25 aprile. “Non andrò ai cortei, meglio un mazzo di fiori”, aveva detto solo martedì scorso.

Sembravano terminate, le polemiche sulla “matrice” di Fdi (per mutuare un termine di Giorgia Meloni), messo da parte quel dibattito che ha accompagnato la sua ascesa (senza limitarla, va detto) e che si è alimentato di goliardate e inchieste, dalla partecipazione alla cena celebrativa della marcia su Roma del governatore marchigiano Francesco Acquaroli all’indagine sulla lobby nera di Milano, che ha visto al centro l’eurodeputato Carlo Fidanza, protagonista di un banchetto elettorale in cui non si risparmiavano battute razziste e riferimenti al nazismo.

La Russa, sia chiaro, pensa di avere ben poco a che fare con questo contesto. È sbalordito. Lui, nel suo post, ha voluto riaffermare che le idee dell’Msi erano “rispettose della Costituzione italiana”. Affida al suo portavoce, Emiliano Arrigo, lo stupore per il clamore suscitato dalle sue parole verso una forza politica che “è stata in parlamento dal ’47. Nessuno aveva da ridire allora e invece contestano oggi. Il Msi ha contribuito a eleggere presidenti della Repubblica”. Per uno storico della destra come Umberto Croppi, pure spesso critico nei confronti della forza politica in cui ha militato, “questa polemica è fuori dalla realtà: il Msi è stato partito di governo nel ’94, prima di essere An e Pdl. Usando questi argomenti la sinistra difficilmente tornerà a vincere”. Ma il Pd, le comunità ebraiche e i partigiani non possono che additare quel filo che legava l’Msi al fascismo, quella “continuità con la Rsi”: la seconda carica dello Stato poteva evitare quel riferimento storico, seppur mediato dall’affetto per il defunto papà? E qui si entra in un’altra sfera, si tocca la molla dell’orgoglio e del riscatto di una parte politica che per lunghi decenni, nel Dopoguerra, è rimasta ai margini e oggi siede nei Palazzi del potere: “Il riscatto della destra? Non è politico ormai, è personale, è familiare: e i casi di La Russa e Rauti lo dimostrano”, dice Filippo Rossi, altro osservatore ormai distaccato di questo mondo. “Il ritorno su certi temi, su alcune figure, è un’ossessione psicologica, va detto con rispetto: non è fatta certo per ragioni elettorali”. È come se la storia con cui un’altra forza d’opposizione come il Pci ha fatto i conti negli anni di piombo, per la destra si stia chiudendo oggi. Con le sue malinconie istituzionali. “Siamo ancora in un’interminabile Dopoguerra”, aveva detto La Russa prima di Natale. Una sorta di autoprofezia.

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