Com’è difficile il ritorno dell’Unità, nel mare in tempesta della sinistra

Alberto Ferrigolo Professione Reporter 13 Gennaio 2023
Com’è difficile il ritorno dell’Unità, nel mare in tempesta della sinistra (che non sa cos’è)
 
Ancora qualche tempo e, secondo le intenzioni, “Torna Gramsci, torna l’Unità” in edicola, stando allo slogan pubblicitario anticipato dal suo nuovo direttore, Piero Sansonetti, storico caporedattore del quotidiano di via dei Taurini e poi di via Due Macelli, in seguito vice e anche condirettore, oltre ad esser stato direttore di Liberazione, Gli Altri, di Calabria Ora, Cronache del Garantista, Il Dubbio, organo del Consiglio Nazionale Forense, da ultimo de Il Riformista. Oltre ad essere un richiestissimo opinionista delle reti Mediaset.

 

Del nuovo giornale si sa poco, se non che – come anticipato dallo stesso Sansonetti al Corriere della Sera, lo scorso 24 novembre- “è l’Unità e sarà l’Unità”, cioè “sarà un giornale di sinistra che in questo momento manca in Italia”. Cosa per altro non corrispondente in assoluto al vero: c’è pur sempre il manifesto, “quotidiano comunista” per antonomasia ed eccellenza, c’è Domani, niente affatto di destra, a suo modo anche Il Fatto Quotidiano, oggi in versione house o personal organ della linea Conte dentro i Cinque Stelle. C’è e c’è stata per lungo tempo la Repubblica, che al parco giornalisti de l’Unità ha attinto a piene mani in anni lontani, decretando il proprio successo di opinione, pubblico, copie, persino egemonia giornalistico-culturale, tanto d’esser tacciata come “giornale partito”.

STORIA E TRADIZIONE

Tempi lontani. E già in queste espressioni giornalistiche corrono diverse e altrettante accezioni di una sinistra che oggi è sempre più difficile definire, codificare, incanalare nell’ispirazione, nei mezzi come nei fini. Garantista o “manettara”? Industrialista o ecologista? Operaia o finanziaria? Libertaria, dei diritti o di genere?

Certo, “essere l’Unità” non è sufficiente per essere l’Unità sic et simpliciter, quella gloriosa dei tempi che furono, con la sua storia e la sua tradizione. Giornale che dal 1924, quanto è stato fondato, fino almeno al 1989, quando è crollato il Muro di Berlino e Achille Occhetto ha poi fatto la “svolta della Bolognina”, è stato e si è concepito sempre come “organo di partito”, fondamentalmente il Pci, fino al 1991. Fedele alla linea, soprattutto del centralismo democratico. Secondo la linea prevalente del segretario o dei segretari che si sono succeduti fino al giorno in cui, quando tutto nel partito è diventato confuso e la coesione è venuta meno, anche l’Unità è entrata nel pallone, in balia di direttori cani sciolti da tutto e vincolati solo alla propria, non sufficiente in sé, condizione o nomea professionale.

CINQUE ANNI DI ASSENZA

Perciò, che giornale sarà l’Unità prossima ventura? Reduce da ben tre chiusure e da altrettante riaperture (2000, 2014, 2017) e da un fallimento editoriale, l’Unità è di fatto assente dalle edicole da ben cinque anni, dopo che già in precedenza non è mai riuscita a intercettare e ritrovare il proprio pubblico. O anche solo un pubblico purché sia, necessario e sufficiente a tenere in piedi il conto economico e sostenere in vita la testata.

A chi si rivolgerà? Per chi scriverà e per conto di chi? Di quali militanti? Di quale blocco sociale sarà interprete e punto di riferimento?

Tanto più in un Paese e in un mondo dove tutto è in continuo mutamento, dove non ci sono certezze né punti fermi. Dove i partiti old style, di Novecentesca memoria, sono stati cancellati, dove la politica s’è trasformata, il rapporto con l’elettorato rivoluzionato, per approdare nelle mani di leader di partito sempre più virtuali, privi di popolo, ma ricchi di sondaggi, dove la militanza vecchia maniera è totalmente scomparsa. Specie nell’era di internet e in un quadro irreversibile e non più arginabile di crisi dei giornali e della carta stampata in genere, con una pesante e progressiva caduta di vendite e un verticale crollo di copie tirate e diffuse, scese a un plafond di meno di un milione e 800 mila copie giornaliere vendute, contro i 6,8 milioni del 1992, anno di massima espansione della carta stampata nelle edicole. Le quali, per altro, chiudono i battenti ad un ritmo giornaliero vorticoso: se ne contavano 35 mila vent’anni fa (e nei decenni precedenti erano 42 mila), ne sopravvivono circa 10 mila, delle quali molte sono edicole-bazar.

LA GRANDE FAMIGLIA

Quotidiano d’opposizione, almeno fino a quando il Pci non si stava per fare governo, l’Unità in definitiva è stata la voce di una comunità, d’una famiglia, la Grande Famiglia della Sinistra Italiana, sia pur con le sue tante voci e particolarità, le sue pecche, differenze, distinzioni e tic, conflitti interni e intestini, rancori, ripicche.

Ha un senso l’Unità, oggi? Un giornale è narrazione continua, discorso quotidiano, rapporto costante con i lettori. La sua lettura è rito, abitudine fatta di empatia, fiducia, tradizione. Ma al tempo stesso è anche rapporto conflittuale, contrastato con le idee e il racconto dei fatti che espone e propone. Tutti elementi che contribuiscono a dare identità, senso d’appartenenza, “fare club”. Le interruzioni pesano. Distolgono l’attenzione. Distraggono. Spezzano l’emozione e la sua storytelling. Tanto più se lo strumento in questione ha la storia e il peso specifico, politico, umano, affettivo, intimo e simbolico di un giornale come è stato l’Unità. Per tutto ciò che ha rappresentato e rappresenta nella storia del movimento operaio, per le lotte per i diritti politici, sindacali e civili tra Secolo breve e Terzo millennio.

CRISI DI CONSENSI E VOTI

Anche perché, nel frattempo, tutto è mutato. La storia a lungo tracciata non c’è più. Finita. S’è persa per strada, a cominciare dalla “svolta” del 1989 e dallo scioglimento del Pci nel 1991. E dal cambio di nome del partito in Pds e poi in Ds fino all’attuale Pd, il Partito Democratico, uscito ridimensionato nelle ultime consultazioni, in crisi di consensi e di voti, in crisi di identità e alle prese con un congresso non facile. Mutazioni che hanno via via lacerato la “comunità”: i genitori si sono separati, i figli dispersi, la famiglia dissolta. Alcuni, nel frattempo, sono anche scomparsi. I più hanno cambiato vita, lavoro, pure ideali. I sopravvissuti sono per lo più sommersi e solo alcuni si sono alla fine salvati. Vivono in altri contesti. Hanno mutato modo d’essere e pensare, abitudini politiche e culturali.

Anche il partito, nelle sue accezioni e modalità, nelle sue culture, non è più lo stesso. Dal punto di vista organizzativo, nel suo modo di essere aggregazione comunitaria. I vecchi lettori del giornale sono trasmigrati altrove, tra le tante testate vecchie e nuove del panorama progressista, pseudo-tale e non. Oggi frequentano più spesso i talk show, oppure navigano nella babele dei siti web. Come tutti, del resto. Molti il partito l’hanno lasciato, alcuni continuano a votarlo, altri non più, l’area d’opinione diffusa e limitrofa s’è sciolta come neve al vento e non esiste più.

BABELE DI PENSIERI

Bene, come si fa e con che coraggio in questo quadro e contesto storico a riannodare i fili e tirare di nuovo le fila? Tanto più nell’era in cui un commento, un messaggio, un’opinione o una sensazione vengono affidati alla rapidità, sintesi e leggerezza di un tweet o di una chat Whatsapp. A cosa serve e può servire il ritorno in edicola di un quotidiano come l’Unità in questa particolare fase della vita italiana e internazionale? Dove le notizie viaggiano per altri canali e tutto, per altro, è e si fa opinione in una babele di pensieri, che si sovrappongono e intrecciano tra vecchie e nuovi media.

Si dice che la rinata Unità abbia un break even a 4 mila copie per una redazione di una decina di giornalisti, ovvero 400 copie a testa, quando un tempo per sostenere i costi si diceva che le copie vendute per ciascun giornalista dovessero essere almeno mille. La pretesa non è granché. Ciò che getta una luce sinistra sulla qualità e lo spessore del futuro giornale. Da dove saranno prese le notizie? Sarà prevalentemente un giornale di dibattito e di opinione politica e culturale? “Il Pd sarà il nostro partito di riferimento”, annuncia Sansonetti, per poi avvertire: “Ma state certi che ne rivendicheremo autonomia”, però “avremo rapporti con tutti i partiti del centrosinistra”. Quindi anche con il M5S? chiede il Corriere: “Macché: i 5 Stelle sono di destra, non c’entrano niente con la sinistra. Sono qualunquisti e populisti: hanno approvato con la Lega i decreti Sicurezza, una cosa che più di destra non si può”, risponde il direttore. La parola chiave sarà invece “socialismo”.

DIVERSE POSIZIONI

Sarà sufficiente? Oppure la nuova Unità a guida Sansonetti si appresta a voler giocare un ruolo nel congresso del Pd? E con quali presupposti? E per conto di chi? Una nuova “corrente” nel magmatico flusso delle diverse posizioni interne e dei suoi quattro competitor alla segreteria?

Fosse così l’impresa è già persa in partenza. Voce residuale. Un chiacchericcio tra intimi. Privo di prospettive. Materiale utile, forse, ad uso degli altri giornali e dei talk show, che spaccano il capello in quattro in cerca dell’inedito, nel mare magnum delle cose già edite.

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