Il bivio di Mourinho e Sarri le Coppe di oggi o di domani

Paolo Condò La Repubblica 13 febbraio 2023
Il bivio di Mourinho e Sarri le Coppe di oggi o di domani
La vittoria numero 19 (su 22) del Napoli è meno rigogliosa di altre — nei primi 20’ la Cremonese sembra divertita all’idea di confermarsi bestia nera di cotanta capolista — ma per certi versi più impressionante.

Passato il breve temporale, i tre gol arrivano in modo ineluttabile: colpisce però che nella loro attesa vengano esposte virtù alternative come un portentoso recupero difensivo di Lozano, a riprova di un coinvolgimento collettivo che spiega il dominio senza precedenti. La curiosità sulle sue prospettive in Champions diventa fortissima. Ma è l’intera ripartenza europea il tema centrale di attualità.

Metà febbraio è il periodo dell’anno nel quale non di rado si crea un paradosso da comma 22: quello di squadre che per inseguire un posto nelle prossime coppe si risparmiano nelle gare di queste. Generalmente la spiegazione è un organico insufficiente a lottare su più fronti: la scarsa fiducia nella capacità di andare fino in fondo porta a privilegiare la qualificazione alla fase a gironi dell’anno successivo, anche per motivi economici (tre incassi sicuri). Il discorso vale particolarmente per i club in campo nelle coppe di seconda fila che in campionato lottano per la Champions, e quest’anno chiama dunque in causa le due romane, non a caso accomunate da un rapporto alquanto dialettico fra direttore sportivo e allenatore.

Mourinho a Lecce ha effettuato i primi cambi, su una squadra ormai appassita, al minuto 83: come dire meglio un professore esausto che un asino fresco. Sarri è più aziendalista, prima di invocare un intervento sul mercato cerca di risolvere i problemi adattando i giocatori che ha: lo fece a Napoli inventandosi Mertens centravanti, l’ha (quasi) rifatto alla Lazio con Felipe Anderson falso9, ma quando Immobile è in serata no gli manca un’alternativa diretta. La Roma a Lecce è stata superiore, ma sul più bello le è mancata l’energia; la Lazio è stata inferiore all’Atalanta, ma ha sbagliato numerose occasioni per far girare la partita.

Nella corsa alla Champions sono stati chiaramente dei passi falsi, la speranza — lo diciamo da convinti europeisti del pallone — è che la reazione non sia un disimpegno nelle coppe, magari mascherato da un eccesso di turnover. La Lazio, in particolare, negli undici titolari possiede la cifra tecnica per vincere la Conference. Ci pensi.

L’Atalanta è la vera vincitrice del turno, per la classifica nuovamente da Champions e per il modo in cuil’ha recuperata. Rispetto alle grandi, il suo status di (nobile) provinciale e gli investimenti sul vivaio le permettono una politica di mercato da Premier: la Serie A è piena di suoi “prodotti” lautamente pagati (Bastoni, Mancini, Ibanez, Cristante, Gosens, Gagliardini, Caldara, per tacere di Kessié, Kulusevski e Romero all’estero). Grazie a quegli incassi, quando i talent-scout segnalano un gioiello purissimo come Hojlund l’Atalanta è in grado di anticipare la concorrenza pagando i 17 milioni richiesti senza perdersi nelle penose trattative imbastite da club ben più titolati (“facciamo un prestito con diritto, poi vediamo, forse una percentuale sulla rivendita…”), ma molto meno liquidi.

L’Inter stasera ha in mano almeno un set point, perché un successo sulla Samp la porterebbe cinque punti sopra il terzo posto. Il Milan è la prima delle tre italiane di Champions a tornare nell’arena, e l’ossigeno guadagnato col Torino deve fare scopa con i problemi di centrocampo del Tottenham, che per un motivo o per l’altro non avrà Hojbjerg, Bentancur e Bissouma.Perso Lloris, il sostituto Forster ha iniziato malissimo a Leicester: chissà che il fattore portiere di riserva, che al Milan in campionato è costato, in Champions non si ribalti.

Dietro al gruppo “europeo”, la Juve penalizzata è già risalita a un solo punto dal 7° posto: la sua cilindrata non è paragonabile a quella del trenino guidato per ora da Torino e Udinese, e quando la palla capita sui piedi di Di Maria l’effetto è di un adulto che gioca in mezzo a ventuno bambini. Un altro sport proprio.

La renitenza di Allegri a schierarlo in tridente con Vlahovic e Chiesa è stata spiegata dal match contro la Fiorentina: in fase di possesso e con lo spazio davanti la Juve sa rendersi pericolosa, ma quando la palla è degli avversari tende a perdere il controllo del gioco, e a rischiare.

È un problema dato dall’assetto basso, e l’esperienza insegna che in Europa — giovedì arriva il Nantes — conviene compattare la squadra avanzandone il baricentro, e non arretrandone le punte. Ad Allegri l’ardua sentenza.

 

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