Quei giorni di Marzo 2020 che mettono sottoaccusa Giuseppe Conte

Armando Di Landro Corriere della Sera 3 marzo 2023
L’inchiesta sul Covid a Bergamo e la bozza di decreto per la zona rossa: Speranza firmò, Conte no
Le acquisizioni di documenti al ministero presentarono una sorpresa agli investigatori. Da quel momento cambiò la linea dei pm, che decisero di contestare ai politici la mancata decisione su Nembro e Alzano

L’inchiesta sul Covid a Bergamo e la bozza di decreto per la zona rossa: Speranza firmò, Conte no
Il provvedimento che i bergamaschi (e gli italiani) aspettavano era già stato scritto. Ma restò chiuso in un cassetto. A trovarlo furono gli investigatori della Procura di Bergamo, il 14 gennaio del 2021, durante un’operazione di acquisizioni e perquisizioni al Ministero della Salute e all’Iss nell’ambito dell’inchiesta sulla gestione della pandemia. Al Ministero c’era una bozza di decreto, dentro una cartellina che rimandava al 4 marzo 2020, in cui si indicava che i comuni di Alzano Lombardo e Nembro dovevano essere aggiunti all’elenco degli 11 paesi (10 nel Lodigiano più Vo’ Euganeo) dove c’era già la zona rossa.

Quella bozza era un’ulteriore prova di una situazione già nota: per tutta la settimana tra lunedì 2 marzo 2020 e sabato 6 il governo era stato a un passo dall’istituzione della zona rossa anche nei due Comuni della Val Seriana, l’area dove si stava manifestando il focolaio Covid più grave. Si era già tergiversato troppo, forse, considerando che nel Lodigiano il provvedimento di chiusura era scattato due giorni dopo il primo tampone positivo.

Ma finalmente, quella sembrava la settimana decisiva. Mancava però qualcosa, che in quella visita a Roma del gennaio del 2021 colpì subito gli investigatori: in fondo alla bozza di provvedimento c’era la firma del ministro della Salute Roberto Speranza, non quella del premier Giuseppe Conte.

Un campo vuoto, il sunto di cosa accadde in quei giorni: il governo era spaccato sul tema, il ministro aveva deciso di seguire senza se e senza ma le indicazioni del Comitato tecnico scientifico del 3 marzo, che suggerivano di chiudere i due paesi. Il presidente del Consiglio, invece, prendeva tempo e l’avrebbe fatto fino alla decisione della notte tra il 6 e il 7 marzo: niente zona rossa specifica per Nembro e Alzano ma divieti allargati alla Lombardia.

Attorno alla linea Conte si sono inseguite indiscrezioni fin da quei giorni, a partire da presunte pressioni ricevute dal mondo industriale e produttivo, anche tramite parlamentari della maggioranza. Alcuni noti imprenditori sono stati anche ascoltati da chi indaga. Ma nulla è mai emerso in modo netto. Ci sono ora, però, le conclusioni della Procura sui politici: Conte risulta indagato per la mancata zona rossa, Speranza no. Al ministro viene addebitata la mancata applicazione del Piano pandemico, il protocollo che ogni Paese dovrebbe attivare su richiesta dell’Oms.

Di certo le acquisizioni di documenti a Roma a gennaio 2021 furono uno spartiacque dell’inchiesta. Fino a quel momento la contestazione sulla zona rossa sembrava in bilico. A giugno dell’anno prima, quindi circa tre mesi dopo il periodo più difficile, il procuratore aggiunto e allora reggente di Bergamo Maria Cristina Rota, con altri sostituti e il suo staff, era entrata a Palazzo Chigi proprio per ascoltare la versione di Conte sui divieti che non scattarono mai a Nembro e Alzano.

L’idea dei pm, dopo quel colloquio, è che la scelta politica di non fare la zona rossa, comunque discrezionale per il governo, non fosse contestabile in sede penale. Il materiale trovato a Roma, e tutta una serie di chat acquisite dai telefonini dei dirigenti dell’Iss e del Cts, hanno cambiato, in parte, quelle convinzioni: la zona rossa era apparsa a molti, Speranza incluso, l’unica via da percorrere.

 

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