C’erano una volta i 5 Stelle…

La Repubblica di Claudio Tito 21 Febbraio 2021
Il grande partito morente
La crisi strutturale dei Cinquestelle, tra le accuse di Di Battista e le spinte verso la scissione

Quella del Movimento 5Stelle non è una crisi passeggera. È strutturale. Almeno nella forma originaria, inizia a non esistere più. E se l’evoluzione non viene guidata, rischia di diventare – parafrasando Ennio Flaiano – il più grande partito morente. La probabile scissione, le parole pronunciate ieri da Alessandro Di Battista sono il sintomo non la causa di questo disorientamento.

La probabile scissione, le parole pronunciate ieri da Alessandro Di Battista sonoil sintomo non la causa di questo disorientamento. Il primo, del resto, a intuire che non sarebbe stato un progetto di lungo periodo è stato Beppe Grillo che qualche anno fa fece riferimento ad un possibile autoscioglimento.

La parabola grillina assomiglia sempre più a quella dell’Uomo Qualunque di Guglielmo Giannini. Ad onor del vero quella formazione nata subito dopo la Seconda guerra mondiale con una carica di antipolitica ante litteram durò molto meno, appena quattro-cinque anni. Eppure il codice della autodissoluzione sembra analogo. Anche i pentastellati sono nati senza un dna politico. La protesta è stato il collante che li ha tenuti insieme, ma nella proposta la diversità dei loro geni non poteva che emergere. Perché non sapevano cosa fossero. Il vuoto è stato colmato temporaneamente da alcuni progetti trasformati in bandiere. Ma privi di un filo capace di tenerli  insieme, sono stati l’evidenziatore della crisi del sistema politico – ormai del tutto palese – e non la soluzione.

Basta ascoltare quel che ieri ha detto Di Battista, il quale si presenta come l’estremo difensore dell’ortodossia pentastellata, per capire quanta confusione ci sia sotto quel cielo. Da epigono del “non-statuto” ora è il promotore di ricorsi a norma di statuto. Da capo dei ribelli si accorge solo adesso che la disciplina grillina non garantisce alcun dibattito interno.  I dissidenti se ne sorprendono. Ma quella regola c’è sempre stata. Non l’hanno letta? O forse hanno pensato che sotto l’ombrello di Rousseau non fosse indispensabile informarsi?

Il punto è sempre lo stesso: al di là di qualche vaticinio da guru, i soggetti politici vivono e sopravvivono se si dotano di un impianto ideale condiviso. Altrimenti ci pensa la realtà a trarne le conseguenze. La responsabilità di governo, e forse anche la necessità del compromesso mettono a nudo questo deficit.

I grillini per dare sostanza e nuova forma al loro contenitore, per assegnarsi una prospettiva di media durata sono chiamati a compiere una svolta. L’addio al populismo e all’antieuropeismo, se genuino, impone una scelta di campo. La scissione, in questo senso, sarà un elemento di chiarezza. Anzi, è necessaria. La finzione dietro la quale si sono nascosti come un paravento, ossia che destra e sinistra non esistono più, si sta rovesciando sotto il soffio della realtà. Ne dovranno prendere atto.

Gli scissionisti si trincerano dietro Matteo Renzi. Giustificano il no al governo Draghi per la presenza del leader di Italia Viva. Ma, al di là del giudizio sull’ex premier, davvero questo basta a fare politica? Basta, come fa Di Battista, sostenere che l’M5S non segue più “determinate” idee, “determinati” progetti, “determinati” obiettivi? Definire la propria azione  con l’aggettivo “determinato” è esattamente la dimostrazione del vuoto di contenuti.

Chi resterà, allora, avrà il compito di conservare il meglio di se stessi, tutelare la capacità di rappresentare il malessere e l’energia della contestazione presente nella società, e verificare quali delle loro parole d’ordine originarie abbiano ancora un senso. Per realizzarle in un contesto più ampio. Il governo Draghi ha anche questo obiettivo non dichiarato: permettere al sistema politico di ristrutturarsi. Di darsi una normalità, nel centrodestra e nel centrosinistra. Sapendo che non esiste una democrazia senza partiti.

 

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