La Madonna della Seggiola spera nell’angelo Calenda

Tommaso Labate Corriere della Sera 23 giugno 2022

 

Di Maio apre i lavori al centro: il dialogo con i sindaci (e l’incognita di Calenda)

 

Il progetto del ministro degli Esteri guarda all’area progressista di Sala e a quella moderata, con Brugnaro possibile pontiere. Ma la collocazione dipenderà anche dalle mosse dei 5 Stelle

 

«Con Matteo Renzi è impossibile anche solo immaginare un dialogo, non foss’altro che per ragioni storiche. Ma Carlo Calenda, per esempio, è un’altra cosa. Un’interlocuzione con lui non la possiamo escludere affatto, anzi. Potrebbe anche accadere presto…». Le ventiquattr’ore seguite alla decisione di abbandonare il Movimento Cinquestelle per fondare «Insieme per il futuro» non sono bastate a Luigi Di Maio per esaudire richieste e curiosità delle decine di parlamentari che hanno deciso di seguirlo lontano da Giuseppe Conte e Beppe Grillo, alcuni praticamente «al buio». Il titolare della Farnesina ha risposto ai «perché», ha iniziato a chiarire il «come», ha ipotizzato il «dove»; ma la domanda più ricorrente che si è sentito rivolgere nelle ore più turbolente della sua vita politica è stata un’altra: «Con chi?». E così, quando con la cerchia allargata si è trovato a dover anche solo immaginare il quadro di interlocuzioni che «Insieme per il futuro» dovrà disegnare nelle prossime settimane, ecco che il nome di Carlo Calenda è venuto fuori tra i primi.

Certo, il leader di Azione, che come Di Maio ha nel curriculum un’esperienza da ministro dello Sviluppo economico – esperienza che i due, vedasi sul dossier Ilva, hanno interpretato in maniera quasi opposta – è un osso duro; non si è iscritto al coro dei tanti riformisti che hanno applaudito al divorzio del Cinquestelle e ancora ieri punzecchiava gli scissionisti del Movimento, rimarcando con il titolare della Farnesina i punti di dissenso e mai quelli di una possibile convergenza. Un ostacolo in più, insomma. Non una ragione per arrendersi. Di conseguenza, nel tabellino di marcia che la pattuglia dimaiana ha fissato da qui a fine luglio, quando potrebbe tenersi l’appuntamento fondativo della struttura-partito, il tentativo di «agganciare» Calenda sarà fatto.

Grande o piccolo che sarà, unico o in condivisione con altri, il «centro» di Di Maio inizia a prendere forma. Anche se non è detto che sarà un «centro». Calenda a parte, il ministro degli Esteri ha iniziato a tessere una tela che l’ha portato a intavolare una discussione con Beppe Sala, sindaco progressista di Milano, e Luigi Brugnaro, primo cittadino conservatore di Venezia. Dialogare con il primo vuol dire tenere in piedi una discussione che può coinvolgere personalità del calibro di Giorgio Gori, Dario Nardella e Antonio Decaro, sindaci rispettivamente di Bergamo, Firenze, Bari; discutere col secondo vuol dire accreditarsi anche verso il mondo dell’attuale centrodestra, dare un giro di bullone a quell’insegna di «interlocutore naturale del moderati» (il copyright è dell’ex Cinquestelle Emilio Carelli, oggi in Coraggio Italia) e trasformarsi in un possibile compagno d’avventura anche per i berlusconiani di governo oggi più vicini a Draghi che al Cavaliere (da Mara Carfagna a Mariastella Gelmini, passando per Renato Brunetta).

Perché, nei cantieri del «centro», dall’inizio della Seconda Repubblica è sempre andata così: sai quando parti ma non sai come e se arrivi; sai con chi inizi a discutere ma non puoi mai sapere con chi finirai per condividere le liste elettorali. Gaetano Quagliariello, uno degli ingegneri del progetto centrista portato avanti insieme con il governatore della Liguria Giovanni Toti, ha spiegato agli amici più stretti che «con la scissione del Movimento Cinque Stelle c’è una variabile in più, la più semplice e ovvia, che non possiamo sottovalutare. Ed è tutta in una domanda: ora che si sono separati, Conte e Di Maio possono finire per stare nella stessa coalizione oppure no?». Da qui il ragionamento che l’ex ministro delle Riforme ha sviluppato assieme ai compagni d’avventura: «Conte può radicalizzarsi, decidere prima o poi di abbandonare il governo Draghi, svincolarsi dal Pd e lasciare che l’ala moderata del centrosinistra la faccia Di Maio. E questo è uno scenario. Ma se Conte rimane legato al governo e al Pd, allora questo quadro non serve più. E Di Maio proverà a occupare anche lui il centro…».

L’unica certezza è che il telefonino del capo della Farnesina, già da ieri, ribolle di chiamate in entrata e in uscita. «La nostra avventura è iniziata dal Parlamento. Ma di esperienze nate in Parlamento e morte lì, lo sappiamo bene, ce ne sono state fin troppe», spiegava due sere fa Vincenzo Spadafora. Per l’ex ministro dello Sport, una specie di ambasciatore di «Insieme per il futuro» nel resto dell’arco costituzionale, «nelle prossime settimane dovremo strutturarci sul territorio, iniziare a dialogare con sindaci e gli amministratori ilocali, anche quelli che non hanno condiviso con noi l’esperienza nel M5S. Quindi iniziare a buttare giù una serie di punti, di cose da fare, per poi allargare il dialogo…». La lista degli interlocutori sembra infinita. Anche se il ghiaccio, con quasi tutti, Di Maio l’ha già rotto.

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