Il tracollo dei talebani della Brexit, l’unica soluzione è tornare al voto

 

Bill Emmot La Stampa 21 ottobre 2022
Il tracollo dei talebani della Brexit, l’unica soluzione è tornare al voto
I conservatori in confusione sognavano una «Singapore sul Tamigi», ma lasciano macerie. Il motto di Liz era «lavorare sodo e demolire tutto», come in una start-up: non ha funzionato

 

«Ahi serva Britannia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!». Sarebbe giusto affermare che le parole di Dante a questo punto dovrebbero essere utilizzate per la Gran Bretagna, il mio Paese natale? Beh, con le dimissioni di Liz Truss da Primo ministro, adesso il mio Paese sa per certo che entro la fine della settimana prossima – quando i conservatori dicono che sceglieranno il suo successore – nel solo 2022, la Gran Bretagna avrà visto avvicendarsi ben tre primi ministri, forse cinque Cancellieri dello Scacchiere e, purtroppo, due monarchi. Accantono la questione di capire se dovremmo includere il bordello, sebbene le famose feste dove l’alcol scorreva a fiumi al Numero Dieci di Downing Street durante il mandato di Boris Johnson di fatto potrebbero aver indotto Dante a prendere in considerazione quella parola. In ogni caso, possiamo essere sicuri che, in termini politici, la Gran Bretagna è stata una «nave sanza nocchiere» fin dal referendum sulla Brexit di quel fatidico giorno di giugno di oltre sei anni fa. Non c’è dubbio, infatti, che l’attuale agitazione politica nel Paese può essere fatta risalire a quella decisione. Ciò non dipende, quanto meno non direttamente, dalle conseguenze economiche della Brexit, che non si sono manifestate ancora del tutto all’opinione pubblica britannica, grazie all’impatto di gran lunga più drammatico della pandemia da Coronavirus e adesso della guerra in Ucraina.

Il nesso causale con il voto per la Brexit sta nella decisione di uscire dall’Unione europea senza aver concordato, approvato o anche solo discusso in pubblico un piano su cosa fare dopo. Si trattò di una decisione intrinsecamente negativa, non di una decisione presa con una chiara strategia alternativa in mente. Ne consegue che gli anni seguenti della vita politica britannica, soprattutto la vita politica del Partito conservatore, sono stati caratterizzati da un misto di epurazioni in stile staliniano dei ribelli e dei dissidenti, di lunghi periodi di paralisi politica che potrebbero essere assimilati a un esaurimento nervoso politico, e da una ricerca di soluzioni e slogan semplici e d’effetto. L’attuale instabilità in Gran Bretagna è un’instabilità delle menti politiche, non di personaggi in rivalità tra loro, come è spesso stato il caso in Italia. Attraversare questi cambiamenti di governo – come fa spesso l’Italia – è alquanto diverso dall’affrontare frequenti cambiamenti di mentalità e di direzione strategica.

Durante i suoi tre anni da Primo ministro, dal 2019 a pochi mesi fa, Boris Johnson ha usato senza scrupoli le espulsioni, ma ha anche ostentato confusione e mancanza di coerenza. Era favorevole agli sgravi fiscali e a sfruttare la Brexit con una deregolamentazione, così da trasformare la Gran Bretagna in quella che è arrivata a essere chiamata una «Singapore sul Tamigi»? O era favorevole a intervenire con aiuti all’industria in modi che l’affiliazione all’Ue rendeva difficile, continuando a spendere prodigalmente per le pensioni e affrontando le disuguaglianze regionali? La risposta è che Boris Johnson era favorevole a tutto questo e molto di più, senza essere per altro desideroso di affrontare allo stesso tempo i compromessi e le contraddizioni che ciò comportava. Più di ogni altra cosa, tuttavia, era favorevole a trovare slogan semplici e facilmente orecchiabili. Il referendum per la Brexit, quindi, è stato vinto scandendo «Riprendiamoci il controllo», e nelle politiche del 2019 Johnson ha trionfato al grido di «Get Brexit Done!». Peccato che né lui né uno solo dei suoi ministri sapesse come intendeva usare quel «controllo riconquistato». E peccato anche che perfino adesso, nel 2022, la Brexit resta un processo incompiuto perché la Gran Bretagna sta ancora litigando con l’Unione europea per lo status dell’Irlanda del Nord, e per le implicazioni dell’accordo dello stesso Johnson secondo cui l’Irlanda del Nord sarebbe rimasta parte del mercato unico delle merci dell’Unione. Adesso che ha rassegnato le sue dimissioni, Liz Truss se non altro potrà vantarsi di avere un posto nei libri di storia politica: sopravvissuta in carica per soli 45 giorni, ora detiene il record di Primo ministro britannico che ha prestato servizio per meno tempo, senza contare che dieci di quei 45 giorni sono stati assorbiti in toto dal periodo di lutto ufficiale per la regina Elisabetta. Scavando in profondità, il suo sventurato periodo in carica ha dimostrato in che modo la classe dirigente filo-Brexit abbia reagito alla perdita di una strategia coerente o concordata andando alla ricerca di un surrogato ideologico. Per i critici come me, Truss può essere paragonata a un gruppo di fanatici religiosi – li si potrebbe chiamare Tory talebani – che aprono bocca soltanto tra loro e finiscono con il credere alle loro selettive scritture. In ogni caso, quanto è accaduto era inaspettato. Nei suoi dieci anni in parlamento, Liz Truss si è occupata di sei diversi incarichi ministeriali: di conseguenza avrebbe dovuto conoscere l’iter e i requisiti istituzionali, e sapere quanto valgano i consigli delle persone esperte. Invece, ha agito come se pensasse di essere in una start-up della Silicon Valley che venera l’idea di «lavorare rapidamente e demolire tutto».

Che cosa ci aspetta adesso? La Gran Bretagna deve sperare in nuove elezioni generali, così da intavolare un dibattito più aperto sulla direzione che la nostra nazione deve imboccare, e da eleggere un governo che abbia una sorta di idea coerente di quello che intende fare. Finché non arriveremo a quel punto, tuttavia, non possiamo che aspettarci maggiore instabilità e numerosi conflitti tra le varie fazioni interne al Partito conservatore. Ne volete una prova? Basta guardare come i parlamentari conservatori stanno riproponendo sul serio Boris Johnson come potenziale candidato in sostituzione di Liz Truss, soltanto quattro mesi dopo che la metà del suo stesso governo si è dimessa in segno di protesta per gli scandali e la sua incompetenza. Non resta che sperare che avvistino il «bordello» in arrivo per tempo, e cambino idea. Ahi, serva Britannia…

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