Discorso peronista che contrappone il popolo alle istituzioni

Lucia Annunziata La Stampa 26 ottobre 2022
Discorso peronista che divide il Paese
Sì, direttore Giannini, hai avuto ieri la tua risposta.

 

È arrivata con una sorta di lapsus, una somiglianza di parole, come può capitare. «Per il Peronismo c’è soltanto una classe di uomini: quella degli uomini che lavorano», Juan Domingo Peron. «Siamo sempre stati al fianco di quei quasi 5 milioni di lavoratori autonomi, tra artigiani, commercianti e liberi professionisti, che costituiscono un asse portante dell’economia italiana e non smetteremo ora. Per noi, un lavoratore è un lavoratore», Giorgia Meloni. Ti chiedevi nel tuo ultimo editoriale se la Meloni sarebbe stata Evita (Peron) o Margaret (Thatcher) e ora lo sai. Il primo discorso ufficiale, pronunciato alla Camera prima della fiducia e poi depositato al Senato, ci ha raccontato la radice della formazione intellettuale del nuovo presidente del Consiglio.

Quel patchwork di vari pensieri degli anni Quaranta che va sotto il nome di Peronismo. Patriottismo, terza via economica del fascismo, socialismo, nazionalismo, il tutto combinato intorno a una idea: il riscatto dei descamisados, i più poveri della terra, tramite la virtù di una sola figura salvifica e apicale. È un popolo ferito, quello del peronismo, preso in giro, abusato dal potere. La sua salvezza passa dalla separazione di bene e male, la cui identificazione è decisa dal loro Salvatore. Salvezza alla fine significa, banalmente, una certa idea di Keynes, cioè spesa pubblica. Ma se la retorica costruita intorno a questo obiettivo faceva impressione già a cavallo degli anni 40/ 50 del primo Peronismo, fa di sicuro ancora più impressione sentirne echeggiare le idee nell’anno 2022 nelle aule del Parlamento di una democrazia avanzata come l’Italia.

Nel suo discorso il nuovo premier ha fatto un ritratto drammatico dell’Italia. Non mi dilungherò su altre interpretazioni. Propongo qui un passaggio, che certo è significativo, del discorso. La versione è testuale, ripresa dalle fonti ufficiali.

«Il mio ringraziamento, il più sentito, va ovviamente al popolo italiano, a chi ha deciso di non mancare all’appuntamento elettorale e ha espresso il proprio voto, consentendo la piena realizzazione del percorso democratico, che vuole nel popolo, e solo nel popolo, il titolare della sovranità, con il rammarico, però, per i moltissimi che hanno rinunciato all’esercizio di questo dovere civico, sancito nella Costituzione, cittadini che reputano sempre più spesso inutile il loro voto, perché dicono: “Tanto poi decide qualcun altro, tanto poi si decide nei palazzi o nei circoli esclusivi”. Purtroppo spesso è stato così negli ultimi 11 anni, con un susseguirsi di maggioranze di governo pienamente legittime sul piano costituzionale, ma drammaticamente distanti dalle indicazioni degli elettori. Noi, oggi, interrompiamo questa grande anomalia italiana, dando vita a un governo politico, pienamente rappresentativo della volontà popolare. E intendiamo farlo assumendoci pienamente i diritti e i doveri che competono a chi vince le elezioni: essere maggioranza parlamentare e compagine di governo per 5 anni, facendolo al meglio delle nostre possibilità, anteponendo sempre l’interesse della Nazione a quello di parte e di partito.

Non useremo il voto di milioni di italiani per sostituire un sistema di potere con un altro distinto e contrapposto. Quello che noi vogliamo fare è liberare le migliori energie di questa Nazione e garantire agli italiani, a tutti gli italiani, un futuro di maggiore libertà, giustizia, benessere e sicurezza. E se per farlo dovremo scontentare alcuni potentati o fare scelte che potrebbero non essere comprese nell’immediato da alcuni cittadini, non ci tireremo indietro, perché il coraggio di certo non ci difetta». Meloni riprende così: «So bene che ad alcuni osservatori e alle forze politiche di opposizione non piaceranno molte delle nostre proposte, ma io non intendo assecondare quella deriva secondo la quale la democrazia appartiene ad alcuni più che ad altri e che un esito elettorale sgradito non vada accettato e ne vada, anzi, impedita la realizzazione, con qualsiasi mezzo. Negli ultimi giorni sono stati in parecchi, anche fuori dai nostri confini nazionali, a dire di voler vigilare sul nuovo governo. Direi che possono spendere meglio il loro tempo».

Il popolo vs i potentati, la deriva democratica e la diffida per coloro che vogliono vigilare sull’Italia fuori dai nostri confini nazionali con quel «direi che possono spendere meglio il loro tempo». Un discorso profondamente divisivo. Meloni continua, e di eroismi ne trova ancora. Eccoci alla tempesta, preferita metafora degli eroi. «Siamo dunque nel pieno di una tempesta. La nostra imbarcazione ha subito diversi danni e gli italiani hanno affidato a noi il compito di condurre la nave in porto in questa difficilissima traversata. Eravamo consapevoli di quello che ci aspettava, come lo sono tutte le altre forze politiche, anche quelle che, governando negli ultimi 10 anni, hanno portato – perché questo dicono i numeri – un peggioramento dei principali fondamentali macroeconomici, e oggi diranno ovviamente che hanno le ricette risolutive e sono pronte a imputare al nuovo governo le difficoltà che l’Italia affronta. Eravamo consapevoli del macigno che ci stavamo caricando sulle spalle. Ci siamo battuti lo stesso per assumerci questa responsabilità perché, in primo luogo, non siamo persone abituate a scappare e, in secondo luogo, perché la nostra imbarcazione, l’Italia, con tutte le sue ammaccature, rimane “la nave più bella del mondo”» … «Allora noi siamo qui per tentare di ricucire le vele strappate, fissare le assi dello scafo, superare le onde che si infrangono su di noi, con la bussola delle nostre convinzioni a indicarci la rotta verso la meta prescelta e con un equipaggio che è capace di svolgere al meglio i propri compiti. Negli ultimi 20 anni l’Italia ha avuto, in media, un governo ogni due anni, cambiando spesso anche la maggioranza di riferimento. È la ragione per la quale i provvedimenti che garantivano sicuro e immediato consenso hanno sempre avuto la meglio sulle scelte strategiche. È la ragione per la quale le burocrazie sono spesso diventate intoccabili e impermeabili al merito. È la ragione per la quale la capacità negoziale dell’Italia nei consessi internazionali è stata debole. Ed è la ragione per la quale gli investimenti stranieri, che mal sopportano la mutevolezza dei governi, sono stati scoraggiati».

Tutto questo sfascio porta a una sola conclusione (che in verità avevamo capito): «È la ragione per la quale siamo fermamente convinti del fatto che l’Italia abbia bisogno di una riforma costituzionale in senso presidenziale, che garantisca stabilità e restituisca centralità alla sovranità popolare. Una riforma che consenta all’Italia di passare da una “democrazia interloquente” a una “democrazia decidente”».

È tutto chiaro, presidente Meloni. Buon lavoro. Ma chi l’aiuta a scrivere i discorsi, e mi pare che ci sia un intero comitato a farlo, dovrebbe forse aiutarla anche a farglieli risentire, per farle capire quanto, con tali parole, invece di sanare, Lei rilanci quel conflitto fra popolo e istituzioni, che è il vero male dei nostri anni. Pro domo sua.

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