Cina e Germania rompono le diffidenze del mondo de-globalizzato

Federico Rampini Corriere della Sera 04 novembre 2022
Scholz in Cina: che cosa può cambiare la sua visita
La missione a Pechino irrita tanti alleati, dalla Casa Bianca all’Eliseo. Ma fa il paio con l’omaggio a Xi Jinping da parte dei potenti di Wall Street

 

Il cancelliere tedesco fa sorgere legittimi dubbi sulla tenuta dell’Occidente, con una visita a Pechino che molti suoi connazionali giudicano inopportuna e che irrita anche tanti alleati: dalla Casa Bianca all’Eliseo. Ma il viaggio di Scholz fa il paio con l’omaggio che i potenti di Wall Street rendono indirettamente a Xi Jinping, partecipando a un importante forum finanziario a Hong Kong. La stessa Hong Kong è stata il teatro di una brutale repressione da parte del regime di Pechino, ormai dimenticata perché di mezzo abbiamo avuto una pandemia. Non la dimenticano però i duecento giovani di Hong Kong che sono dietro le sbarre e rischiano di passarci la vita: condannati al carcere per aver difeso uno Stato di diritto, un’autonomia amministrativa, la libertà di stampa, la magistratura indipendente.

Chi pensava che dopo il pugno duro liberticida Hong Kong si sarebbe condannata al declino come piazza finanziaria globale, faceva i conti senza il cinismo di Wall Street. Quando questa settimana Xi Jinping ha deciso di rilanciare la “sua” Hong Kong normalizzata come porta d’accesso per i capitali occidentali, al raduno promozionale si sono presentati i top manager di BlackRock, Goldman Sachs, JPMorgan Chase, Morgan Stanley. Da Wall Street nessuno si sognerebbe di fare la morale al cancelliere tedesco: così fan tutti.

La visita di Scholz in Cina, in corso oggi, può essere vista in due modi. E’ la conferma di una pericolosa dipendenza: l’industria tedesca non riesce a fare a meno della Cina né come mercato di sbocco né come fornitrice di minerali e componenti essenziali; rischia di ripetersi in futuro un film già visto nel caso della Russia. Ma il viaggio ufficiale del cancelliere è anche l’occasione di un acceso dibattito in Germania, con delle divergenze sulla politica cinese che spaccano in due perfino la Confindustria. Intanto questa visita avviene mentre rimbalzano nuove voci su un possibile allentamento della politica “zero Covid” da parte di Xi Jinping. Nei giorni scorsi quelle voci hanno scatenato un rialzo alla Borsa di Hong Kong, per la quale un ritorno alla normalità sarebbe prezioso. La vicenda della fabbrica Foxconn a Zhengzhou, dov’è scattato un nuovo lockdown per qualche caso positivo al test Covid, è una lezione che tutti gli investitori stranieri sono costretti a meditare. La Foxconn di Zhengzhou è il principale stabilimento di assemblaggio dei nuovi iPhone per Apple, multinazionale che negli ultimi anni si è legata moltissimo alla Cina. Ma che scopre quali prezzi può pagare per la sua dipendenza da un regime autoritario. La durezza del lockdown ha spinto qualche centinaio di operai della Foxconn alla fuga. Le immagini video di questi operai e operaie che trascinano le loro valigie su un’autostrada, scappando dal luogo di lavoro, hanno fatto il giro del mondo. Sarebbe ora che Xi rivedesse la politica sanitaria, ma le sue decisioni sono imperscrutabili, circondate dalla massima opacità.

Apple sta cominciando a diversificare una parte della sua produzione dalla Cina verso l’India e il Vietnam. E’ un messaggio che l’industria tedesca vuole ascoltare? Una novità che salta agli occhi in questa visita di Scholz a Pechino, rispetto alle precedenti visite di Angela Merkel, sono le assenze. Riprendo qui un’osservazione dei colleghi del settimanale tedesco Der Spiegel. Un tempo tutti i maggiorenti dell’industria tedesca si facevano un punto d’onore di accompagnare la cancelliera in Cina, anche perché far parte di quelle delegazioni ufficiali era un modo per ingraziarsi le autorità cinesi. Stavolta invece brillano le defezioni importanti. Dalla delegazione industriale che accompagna Scholz mancano i capi di Mercedes Benz, Thyssenkrupp, Deutsche Post, tre pezzi da novanta, più qualche altro. E’ il risultato della spaccatura che si è aperta in seno alla Confindustria tedesca (BDI), tra un’ala che vorrebbe continuare a praticare “business as usual” con la Cina, e chi pensa che i rapporti con quel paese siano diventati sempre più rischiosi e quindi vadano ridimensionati con particolare attenzione alla sicurezza nazionale.

Tra i falchi, che vogliono una politica più dura verso la Cina, ci sono fra l’altro molti industriali del settore macchine utensili, vittime sistematiche di spionaggio industriale e furti di proprietà intellettuale. Già da qualche anno la Confindustria tedesca cominciò ad accendere un faro sul celebre piano di politica industriale di Xi Jinping con cui ambiva a costruire una leadership nazionale nelle tecnologie avanzate, dopo averle importate (e spesso copiate) dalla Germania per anni. Ho già rilevato che anche il linguaggio di Xi all’ultimo congresso comunista era apertamente protezionista e autarchico, evocava lo spettro di una Cina trasformata in una fortezza economica, sempre più autosufficiente. Per adesso però per molte aziende tedesche rimane uno sbocco essenziale. L’esempio chiave è la Volkswagen. In Cina ha trenta fabbriche e novantamila dipendenti. Su tutte le vetture Volkswagen vendute nel mondo intero (Germania inclusa), una su tre viene venduta sul mercato cinese. Nessun altro paese dà un simile contributo ai profitti dell’azienda automobilistica tedesca. E’ chiaro che disimpegnarsi dalla Cina, finché questi sono i numeri, appare autolesionista ai vertici della Volkswagen. Lo stesso discorso vale per il colosso chimico Basf, o la Siemens, o la Merck, i cui chief executive fanno parte della delegazione di Scholz.

Però se lo sguardo si spinge verso il futuro, l’importanza della Cina è un’arma a doppio taglio. Già oggi la dipendenza dell’industria tedesca dalla Cina per le terre rare supera quella che era la dipendenza dal gas russo. Poiché le terre rare sono essenziali per molte tecnologie verdi, a cominciare dalle batterie per auto elettriche, la futura Germania a “zero emissioni” che sognano gli ambientalisti sarebbe schiava della Cina. Del resto all’ultimo salone dell’auto di Parigi si è notata l’avanzata delle marche cinesi nelle auto elettriche. E’ una delle tante ragioni per cui il partito dei Verdi a Berlino è molto più severo verso Xi Jinping e ha criticato la missione di Scholz; così come l’hanno criticata anche gli altri partner dell’alleanza di governo, i liberali.

Il cancelliere ha fatto una concessione ai falchi della sua coalizione, quando si è occupato dell’ingresso cinese nel porto di Amburgo. Ne ho già scritto in questa rubrica, si tratta della controversa acquisizione di una partecipazione in un terminal del porto da parte della società di trasporto navale cinese Cosco. Scholz ha posto come condizione che Cosco compri solo una quota di minoranza, non superiore al 25%, e che il controllo dell’infrastruttura resti in mano all’ente pubblico portuale. Il compromesso non ha veramente rassicurato i suoi partner di governo, che continuano a considerarlo troppo morbido verso Pechino. Le critiche dei Verdi e del partito liberale sono molto simili a quelle di altri paesi occidentali, Stati Uniti in testa, preoccupati per l’ennesima sbandata a Est della Germania.

Però spicca su tutti l’ineffabile Emmanuel Marcon: per attenuare i sospetti e le riserve sull’intesa tra Berlino e Pechino, il presidente francese ha tentato d’imbucarsi, cioè ha proposto a Scholz di andare con lui. Trasformando la delegazione tedesca in una visita bilaterale franco-tedesca, sempre secondo Macron, i due avrebbero mostrato un fronte unito europeo. Alla faccia degli altri 25 membri dell’Unione…

Le colombe come Scholz ora focalizzano molte delle loro speranze sul nuovo astro nascente al vertice del regime cinese: il 63enne Li Qiang (pronuncia: ciang), che Xi ha scelto come il suo numero due, e potrebbe diventare premier. Li Qiang è un fedelissimo del presidente, con cui ha condiviso un’alleanza politica da un quarto di secolo. Ma è anche considerato un pragmatico, con buoni rapporti negli ambienti del capitalismo privato caduti in disgrazia per la sterzata statalista di Xi. A conferma del suo pragmatismo si narra che Li Qiang sarebbe stato favorevole all’acquisto di vaccini americani contro il Covid, che avrebbero potuto evitare le restrizioni eccessive inflitte ai cinesi. Se è vero, però, Xi non ha ascoltato quei consigli e Li Qiang si è allineato disciplinatamente con il suo capo e protettore. Il futuro dirà se il nuovo numero due possa avere un’influenza moderatrice su Xi, sia nell’ambito della politica anti-Covid sia per la politica economica, oppure se sarà anche lui uno yesman.

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