Trump e Biden rischiano entrambi. Rimarrà solo Obama?

Guido Moltedo il Manifesto 8 novembre 2022
Se dimezzerà Biden rilancerà Barack Obama
Se i sondaggi saranno confermati, con la conquista conservatrice del Congresso, per i democratici si apre l’ennesima stagione del “soul-searching”, dell’esame di coscienza.


Sfidando i pronostici, Michael Moore prevede addirittura un «blu tsunami», una vittoria a valanga degli azzurri democratici nel voto di oggi. Lo ripete da settimane sul suo blog, prevedendo «una massiccia affluenza delle donne».

Una partecipazione trasversale, anche di elettrici repubblicane, per protesta contro la recente sentenza dell’ultraconservatrice Corte suprema, che di fatto cancella il diritto all’interruzione della gravidanza, con immediata applicazione negli stati a guida repubblicana. Un’alta partecipazione al voto nelle elezioni di medio termine, in genere bassa, può in effetti far saltare i calcoli di chi dà per certa la vittoria dei repubblicani alla camera dei rappresentanti e quasi certa al senato.

D’altra parte il regista di Flint era stato profetico, quando aveva previsto nel 2016, solo contro tutti, la sconfitta di Hillary Clinton, grande favorita nel duello con Trump. Ed è proprio Trump a corroborare indirettamente le previsioni di Moore, con la sua reiterata denuncia preventiva di brogli nelle elezioni di oggi negli stati chiave decisivi per l’esito del voto al senato, in particolare in Pennsylvania. E con l’ex-presidente già protestano altri big repubblicani, come Ted Cruz. Sentono aria di sconfitta? E se sarà così, si preparano, i seguaci di Trump, ormai noti come MAGA, a ripetere negli stati in bilico, eventualmente vinti dai dem, proteste di tipo insurrezionale come quella del 6 gennaio 2021 a Capitol Hill?

Sono interrogativi che girano a Washington e che danno la misura della posta in gioco nell’Election Day odierno. In palio c’è il controllo dei due rami del Congresso, l’elezione di diversi governatori e parlamenti statali, senza contare la nomina o l’elezione di giudici – negli stati dove sono elettivi – delle corti supreme statali, investite, tra l’altro, di un ruolo cruciale nel valutare i ricorsi per elezioni contestate, tra cui le stesse presidenziali. Ma questa volta si va molto oltre l’assestamento periodico dei rapporti di forza tra Casa bianca e Congresso, tra democratici e repubblicani.

Biden può uscirne menomato, come suggerisce la gran parte dei sondaggi, sia perché la perdita della maggioranza al Congresso lo renderebbe un’anatra zoppa per i restanti due anni, nei quali la sua unica vera leva di potere sarebbe il veto nei confronti delle iniziative della nuova maggioranza a lui ostile, sia perché una sconfitta suonerebbe conferma dell’inadeguatezza della sua leadership, essendosi peraltro fortemente impegnato nella campagna elettorale al fianco dei candidati democratici negli stati “campi di battaglia”.

Ma anche per Trump il voto di oggi è un test forse decisivo, avendo condotto anche lui un’intensa campagna a sostegno dei numerosi candidati MAGA che ha imposto al Partito repubblicano. La loro performance sarà un indicatore della sua forza nel Grand Old Party e quindi delle chance di essere di nuovo il suo candidato presidenziale nel 2024. I suoi attacchi violenti, molto personali, contro il più temibile dei suoi potenziali concorrenti, il governatore della Florida, Ron DeSantis, e contro altri papaveri repubblicani, in primis l’attuale numero uno al senato Mitch McConnell, sono il sintomo di una leadership che si sente messa in questione, e che potrebbe esserlo ancor di più con un voto sfavorevole oggi.

Difficile dunque che tutti e due i principali contendenti di questo voto, solo sulla carta locale, restino in piedi. Se i sondaggi saranno confermati, con la conquista conservatrice del Congresso, per i democratici si apre l’ennesima stagione del “soul-searching”, dell’esame di coscienza. Come riconquistare i propri territori elettorali storici, la classe lavoratrice, le minoranze, i neri, non più solidamente democratici? Come, con quale guida fronteggiare due anni di offensiva repubblicana? Come contrastare il crescente, ostentato ricorso alla violenza, all’intimidazione da parte degli squadristi trumpisti? Chi saprà opporsi a Trump, se sarà confermato leader del Grand Old Party e sarà il suo candidato presidenziale nel 2024?

In campagna elettorale sono stati attivissimi i massimi esponenti democratici, soprattutto i vecchi maestri dei comizi, come Bernie Sanders, Bill Clinton, Liz Warren e, soprattutto, Barack Obama. L’ex presidente è stato instancabile, molto più che una risorsa al servizio del partito. Volutamente o no, ha rilevato il ruolo di leadership e di traino che Biden evidentemente non è mai riuscito a esprimere in questi due anni, neppure in queste settimane a sostegno dei candidati democratici.

Kamala Harris è una figura molto debole, né si vedono dirigenti ed esponenti di spicco per proporsi come candidato presidenziale nel 2024 se Biden sarà costretto a fare un passo indietro. Le circostanze, l’imprevedibile chimica della politica, fanno pensare che un ritorno di Obama non solo sia possibile ma probabilmente necessario. Non sarà lui a riproporsi per la Casa Bianca, sarà la forza delle cose a candidarlo.

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