L’analisi di classe della crisi democratica negli Usa

Michele Prospero il Riformista 8 novembre 2022
Biden contro i capitalisti? Da moralista, non da sinistra
Oggi si vota negli Stati Uniti
Si elegge la Camera e un terzo del Senato. I democratici rischiano di perdere la maggioranza.
Il presidente reagisce al populismo di Trump con una svolta, che però non ha una base politica

 

Per mobilitare il suo campo profondamente sfiduciato in vista delle elezioni di metà mandato, Biden ha inveito contro i capitalisti. Prima di lui, per gonfi are l’immagine del nemico, anche Trump aveva visto socialisti dappertutto. Chi l’avrebbe mai detto che proprio in America si sarebbe giocata la partita decisiva tra democrazia e tentazioni autoritarie?

Oltre ai cicli economici, esplorati tra gli altri da Marx e Schumpeter, esistono anche i cicli politici, che riguardano le tendenze evolutive dei più rilevanti sistemi politici mondiali. Dopo la globalizzazione, resa possibile dalla dissoluzione della rigida economia di controllo di stampo sovietico, i regimi politici sono sembrati accentuare l’integrazione, sia positiva che negativa, nelle dinamiche sovranazionali.

La prima fase storica post-Impero del male ha visto il trionfo su ampia scala delle sinistre-centro come risposta modernizzatrice al declino del secolo breve. L’Ulivo mondiale divenne negli anni ’90 l’espressione dell’ottimistica celebrazione delle ondate che progressivamente spalancavano le porte della democrazia alle diverse statualità che assaporavano il benessere del mercato pacificato. C’è stato un momento nel quale tutti i Paesi europei erano governati dalla sinistra. Il contagio democratico ha funzionato per un ciclo lungo 10-15 anni e il connubio mercato-libertà sembrava non scalfibile da forze imprevedibili.

Le sinistre post- ideologiche hanno investito sulla credenza, rilevatasi effimera nel più lungo periodo, per cui il mondo delle merci e dei consumi era stato pacificato una volta per tutte e la crescita illimitata dei profitti  spalancava condizioni economiche di stabilità che l’Impero presidiava come sentinella dell’ordine mondiale. L’integrazione positiva nelle dinamiche comunitarie, però , subiva i primi scossoni dalle rivolte dei cittadini di Francia e Paesi Bassi insorti contro l’innovativo percorso di un costituzionalismo europeo.

E la liquidità dell’economia immateriale, dopo la crisi finanziaria post-2007, cominciava a produrre delle solide resistenze che mobilitavano non tanto i perdenti della globalizzazione, bensì le figure meno scolarizzate e urbanizzate dei ceti relativamente opulenti ma non protetti rispetto alla concorrenza mondiale, all’espulsione dalle posizioni occupazionali. La destra è riuscita a spezzare la leggera coalizione sociale della sinistra, non più incardinata sulla centralità operaia, ma costruita attorno ad un più composito mosaico di lavori dipendenti alquanto qualificati, impiego pubblico e scolastico, professioni cognitive.

Per farlo, ha coagulato interessi (impresa media e piccola, lavoro autonomo, ceti che sono attratti dalla questione fiscale) e valori (tradizione, ordine, sicurezza, nazionalismo dei muri rivendicato contro le invasioni islamiche o ispaniche) capaci di sottrarre porzioni cruciali e “popolari” al blocco antagonista.

La base sociale dei “sovranismi” è ovunque la stessa. L’anno mirabile per il dispiegamento del ciclo politico di questa destra di nuovo (e, allo stesso tempo, antichissimo) conio è il 2016, quando maturò la convergenza di due fenomeni sconvolgenti: il successo della Brexit, con la conseguente fuga inglese dal mercato e dai diritti europei, e la conquista della Casa Bianca da parte di Trump, con un aggressivo repertorio antipolitico e una contrarietà armata alle procedure delle istituzioni liberali.

I modelli classici del parlamentarismo con statuto dell’opposizione e del costituzionalismo con poteri reciprocamente bilanciati diventano l’epicentro della crisi della democrazia. È, quella di oggi, una destra in certa misura post-politica, che non esprime una qualificata élite di governo, si affida più volentieri alla narrazione, alla semplificazione, all’immaginario divisivo dei confini, al richiamo della lotta allo Stato fiscale e alla dittatura sanitaria.

L’Inghilterra è per questo diventata il cimitero di tanti premier improvvisati che hanno cercato un consolidamento del potere attraverso la grammatica populista. Il fallimento della destra demagogica, percepita come ceto di governo poco affidabile, è una regolarità così puntuale che non ha risparmiato neppure Trump. Il Presidente dai capelli arancioni ancora adesso non accetta la legittimità dell’alternanza che è avvenuta alla Casa Bianca, e però non trova  nel vecchio Partito Repubblicano argini in grado di spegnerne la carica distruttiva.

Il successo democratico, dopo un rilancio degli investimenti pubblici e un ripensamento delle funzioni federali, non ha sterilizzato lo spettro dell’assalto di Trump, che cercherà nelle prossime presidenziali una legittimazione ex post delle eclatanti prove di colpo di Stato. Egli punta a lucrare sul malcontento generato dall’inflazione che colpisce i redditi e a mobilitare lo spirito antimoderno dei valori coltivati dal conservatorismo religioso.

Biden percepisce che non basta, per arginare una destra di massa che si propone con chiare venature eversive, agitare il pericolo democratico, tutt’altro che una invenzione peraltro. Ai valori politici della difesa dell’ordine costituzionale, utili per attirare anche una marginale quota di consenso moderato, di quel sentimento di lealtà democratica che ancora abita tra le file del repubblicanesimo tradizionale, aggiunge un tocco di laicità (diritti civili, aborto). Ma contro una destra “popolare” non basta una risposta in termini solo valoriali (costituzione, diritti), e per questo il capitalista Biden ha lanciato un affondo contro il capitalismo avido, gli extra profitti. Lo fa, però , per esigenze di comunicazione, non certo per una conversione alla lettura critica della tarda modernità . Parla infatti di avidità del capitale e invoca nuove regole per la concorrenza, non dispone di una critica dell’economia politica.

La butta cioè sulla morale, non sul sistema che invoca una grande politica per governare le sue contraddizioni. È un fenomeno antico, e già Marx denunciava i limiti di una contestazione ancorata sulla riprovazione morale, sulla denuncia della speculazione selvaggia, sulla individuale mancanza di scrupoli. Alla sinistra americana ed europea manca l’attitudine a trasformare la comprensione del fondamento sociale delle crisi cicliche (e dell’iperinflazione) in costruzione di una nuova soggettività politica in grado di connettere costituzionalismo, diritti ed economia.

Senza questa visione sistemica, però , la crisi organica che prosciuga il catalogo valoriale della democrazia non trova antidoti efficaci. Da questa carenza discende la difficoltà nel dare scacco alla nuova destra che, nella riproposizione della guerra terra-mare, conferma la sua natura regressiva. Anche se passa dal confino, come misura di polizia per i soggetti ritenuti “pericolosi”, alla difesa dei confini, come sacra missione per la salvezza della Nazione dai naufraghi, resta immutata la sua anima illiberale e arcaica.

 

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