Caro Giorgetti, ci dica la verità sull’economia dopo Draghi

Massimo Giannini La Stampa 13 novembre 2022
Caro Giorgetti, ci dica la verità sull’economia dopo Draghi
D’accordo, siamo caduti nella trappola. Un disegno di legge-civetta sull’aborto, rispolverato ad minchiam, come avrebbe detto il compianto Mister Scoglio: almeno per tenere in ebollizione la pentola della legge 194, e ricordare alle donne che nessun diritto è per sempre.

Un decreto-Frankenstein sui rave-party, impapocchiato dalla sera alla mattina in qualche incunabolo del Viminale: giusto per minacciare la libertà quotidiana e oltraggiare la lingua italiana. Poi un frontale improvviso con l’Europa, sulla pelle di un migliaio di ultimi della Terra ripescati in mare dalle Ong: tanto per dimostrare che un Papeete è per sempre, e che non c’è mai fine all’impolitica dei cervelli chiusi come i porti. E salvo scoprire che a Parigi – cinica nei respingimenti (vedi la caccia all’uomo a Ventimiglia) e bara nei ricollocamenti (vedi i 38 eseguiti sui 3.500 concordati) – sono i Cugini di Francia Le Pen&Zemmour a insorgere contro i Fratelli d’Italia Meloni&Salvini che hanno piegato Macron. Come direbbe il grande Massimo Troisi: c’è sempre qualcuno più sovranista a qualcun altro. Parafrasando il vecchio Clinton: «It’s the right, stupid!». È giusto che la destra faccia la destra, quindi di cosa ti meravigli? Infatti non è questo che stupisce, anche se sconcerta l’autolesionismo di un governo appena nato che, invece di tessere con pazienza le sue tele, le strappa tutte e subito. La trappola è un’altra. Si è detto e si è scritto, giustamente: i Patrioti – non potendo rivoluzionare l’Italia dalla maggioranza, come avevano promesso di fare dall’opposizione – stanno usando armi di distrazione di massa. Non abbiamo risorse per fare alta economia? Nel frattempo confondiamoli con un po’ di bassa macelleria.

Se questo è lo schema, conviene ripristinare l’ordine delle priorità. La stessa premier le ha indicate più volte. Al primo Consiglio dei ministri dopo il giuramento: «Saremo giudicati solo per la crescita del Pil e dell’occupazione». Nel discorso sulla fiducia davanti alle Camere: «Per l’Italia il 2023 sarà un anno di recessione: meno 0,2%, il peggior risultato tra le principali economia mondiali». Al vertice con i sindacati a Palazzo Chigi: «Stiamo affrontando il momento più difficile della Storia della Repubblica». Lasciamo che spurghino fumi, miasmi e veleni dell’ideologismo un tanto al chilo, e concentriamoci sulla vera “missione”, a partire dalla prossima manovra finanziaria: rafforzare l’economia di fronte all’urto della crisi, sostenere il reddito di famiglie e imprese più a rischio, razionalizzare il mercato del lavoro con le politiche attive, gettare le basi per il rilancio del Sistema-Italia. Il tutto, possibilmente, senza sfasciare i conti pubblici. Cosa ci dobbiamo aspettare? Che segnali ci sta lanciando il governo?

Di “sovrano”, per il momento, regna solo un certo disordine. Protagonista della fase, forse suo malgrado, è il ministro “competente”. Giancarlo Giorgetti si ritrova a sorpresa seduto su una vera sedia elettrica. È noto che al Tesoro la presidente del Consiglio avrebbe voluto Fabio Panetta, tecnico riconosciuto e stimato a Washington, a Francoforte e a Bruxelles. È altrettanto noto che il membro italiano nel board della Bce ha gentilmente declinato l’offerta, e così è toccato al più draghiano e al meno salviniano dei leghisti. Abile e manovriero, Giorgetti si sa muovere nelle stanze del potere italiano, mentre al di là di Chivasso deve ancora costruirsi un profilo personale e un circuito relazionale. Il suo esordio in Parlamento, per illustrare la Nadef, è stato rassicurante. Il governo affronterà l’emergenza con «un approccio prudente e responsabile». Dunque, come prescrive il rito (Super)Mariano, niente sole in tasca, nessun volo pindarico, ma solido ancoraggio al reale e al possibile. Senza debito aggiuntivo, alla faccia del Capitano che pretende i famosi e fumosi «50 miliardi nelle tasche dei cittadini». Bravo, signor ministro. Ma è davvero così? In attesa di conoscere i contenuti della Legge di Stabilità, il dubbio è legittimo. Su almeno tre dossier.

Il primo dossier riguarda le politiche contro le iniquità sociali e a favore dei più deboli. Con 6 milioni di poveri assoluti, anche tra le classi di età più basse, è il problema più urgente. Giorgetti lo ha rivendicato alla Camera, rivolto ai banchi dell’opposizione: «Sulle disuguaglianze avrete sorprese da questo governo: le limitate risorse a disposizione verranno indirizzate verso i soggetti più vulnerabili». Il decreto Aiuti-quater, purtroppo, non pare un buon inizio. L’innalzamento del tetto ai fringe benefits esentasse, da 600 a 3 mila euro, utili a pagare anche le bollette di luce e gas, darà benefici solo a 3 milioni di lavoratori dipendenti su 18, cioè a meno di un lavoratore su cinque. Il “quoziente familiare”, introdotto al posto dell’Isee per agevolazioni connesse all’efficientamento energetico delle villette, darà sconti molto più elevati per i redditi alti. La stessa cosa vale per le misure contro il caro energia: il rinnovo dei crediti d’imposta per le imprese sugli acquisiti di elettricità e gas, il taglio dell’Iva sui consumi di metano e la riduzione delle accise sulla benzina non sono sussidi mirati su chi ha più bisogno. Viceversa: a dispetto di quel che la stessa Meloni ha annunciato in Parlamento («è ora di archiviare i bonus da campagna elettorale») sembra riaffermarsi il modello dei sussidi a pioggia. E poco importa abbattere il superbonus dal 110 al 90%, in base al sacrosanto principio che «mai una massa così ingente di risorse è stata destinata a una fetta così limitata di cittadini», se per il resto si tiene in piedi l’intera filiera dei micro-sostegni indiscriminati, dal monopattino allo psicologo. In questo momento non basta «non disturbare chi vuol fare», come dice la premier: bisogna «aiutare chi non ce la fa». Su questo, ministro Giorgetti, cosa dobbiamo aspettarci?

Il secondo dossier è quello fiscale. Anche qui, i segnali sono contraddittori. L’esecutivo non rinuncia alla Flat Tax, sia pure solo come spot iper-politicista da Istituto Luce invece che svolta turbo-liberista da scuola di Chicago. Per il 2023 prende piede la versione “incrementale”, cioè quella che premia con un’aliquota fissa del 15% gli aumenti di reddito rispetto agli anni precedenti. Dovrebbe valere per tutti, ma calcolata sui redditi 2022 finirà per non riguardare i lavoratori dipendenti, per agevolare soprattutto una parte degli autonomi (le partite Iva fino a 65 mila euro di reddito annuo già fruiscono di tassa piatta) e per premiare i ceti già abbienti con benefici che crescono all’aumentare dei guadagni. Se a questo aggiungiamo l’aumento a 5 mila euro del tetto all’uso del contante e la rottamazione delle cartelle esattoriali, ecco che prende corpo un Leviatano fiscale che strizza l’occhio agli evasori e arretra solo di fronte alle classi più agiate e a chi ha urgenza di rimettere in circolo un bel po’ di nero, ma che resta intatto per tutti gli altri. Aspettiamo poi di capire se e come cambierà l’Irpef, in che modo sarà articolato il taglio di 5 punti del cuneo fiscale, e se è vero quello che dice il ministro Urso, che ne chiede almeno due terzi a vantaggio dei lavoratori. Ma in generale, ministro Giorgetti, è tutto qui il “Nuovo Fisco” al tempo della destra?

Il terzo dossier si chiama previdenza. È persino più spinoso degli altri, sia perché è da sempre ad altissima intensità socio-politica, sia perché investe il patto tra le generazioni. La Sorella d’Italia sulle pensioni ha parlato la lingua dell’Apocalisse. «Sono una vera e propria bomba sociale», ha detto all’assemblea di Montecitorio. «Oggi le pensioni sono inadeguate, domani rischiano di essere inesistenti», ha aggiunto all’incontro con le parti sociali. Ha ragione da vendere. Secondo la Nadef la spesa previdenziale italiana raggiungerà il 16,5% del Pil nel 2025: il livello più alto dell’area Ocse e quasi il doppio della media Ue. Lo stesso responsabile del Tesoro, in audizione parlamentare, ha ribadito le cifre della catastrofe: solo per effetto dell’indicizzazione all’inflazione, «le stime a legislazione vigente indicano un incremento della spesa di 21,3 miliardi nel 2023, di 18,5 miliardi nel 2024 e di 7,4 miliardi nel 2025». Dunque, per il prossimo triennio la spesa per pensioni assorbirà risorse aggiuntive per oltre 50 miliardi. Se questo è il quadro, ministro Giorgetti, come fa a dire che dal gennaio prossimo, scaduta la sciagurata Quota 100 voluta dal suo leader e costata la bellezza di 23 miliardi in tre anni, «Quota 41 è una misura che non è esclusa»? Ci risiamo con le pezze a colori? E come farà, con questi numeri e con questi oneri, a trovare i fondi per le future pensioni dei giovani?

Sono solo tre capitoli del Grande Libro dell’Economia, sui quali il governo sta pasticciando. E solo per carità di patria non aggiungiamo anche quello del lavoro e del Reddito di cittadinanza, sul quale dotti, medici e sapienti sproloquiano a gettone. Qualcosa è stato già scritto, per lo più male. Molto è ancora da scrivere, e speriamo bene. L’unica cosa certa è che il tempo dei diversivi identitari e delle furbate ideologiche sta finendo. Anche se allora aveva solo 7 anni, Meloni farà bene a ricordare quel che Craxi diceva ad Andreotti: prima o poi tutte le volpi finiscono in pellicceria.

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