Bonaccini: “Il mio Pd aperto e di sinistra. Basta con le correnti, l’avversario è la destra”

Carmelo Lopapa La Repubblica 27 novembre 2022
Bonaccini: “Il mio Pd aperto e di sinistra. Basta con le correnti, l’avversario è la destra”
A una settimana dal lancio della corsa alla leadership, il presidente emiliano racconta come vuol cambiare il partito: “Confrontiamoci con Terzo Polo e M5S ma non lasciamo loro la rappresentanza di moderati e sinistra”

 

Presidente Stefano Bonaccini, giorni fa la sua candidatura alla segreteria del Pd. Troverà ancora un partito, quando a febbraio o marzo si concluderanno queste infinite assise congressuali?
“Sono partito dal circolo Pd di Campogalliano, il paese dove vivo e sono nato, perché il partito esiste ancora grazie ai militanti, ai sindaci e agli amministratori nei territori. Sono tra quanti ha chiesto di accelerare e con la mia candidatura ho provato a dare una scossa. Sono sicuro che tante persone si aspettino un’opposizione seria e credibile in campo e un’alternativa a questa destra. Non sarà né facile né breve, ma adesso è il momento di rimboccarsi le maniche e cominciare”.

Già, ma non pensa che nel momento forse più grave per la storia recente della sinistra – con il governo più a destra di sempre insediatosi a Palazzo Chigi – sarebbe stato opportuno accelerare i tempi congressuali, anziché dar vita a organismi pletorici e complesse fasi costituenti?
“La discussione su organismi e fasi congressuali non mi appassiona. Avanzerò proposte per il Pd e per l’Italia e lo farò girando i territori, incontrando gli amministratori, chiedendo una mano alle tante competenze che ci sono intorno a noi e che aspettano di essere coinvolte”.
Ci sono anche le tante, forse troppe correnti che ancora una volta dividono il partito. Lei che di correnti ne ha attraversate alcune, non pensa che sia giunto il tempo di archiviarle, se il Pd vorrà sopravvivere anche all’ultima disfatta elettorale?
“Non sono mai stato iscritto a nessuna corrente e ribadisco che non chiederò e non accetterò il sostegno di nessuna corrente. Voglio invece rivolgermi a tutte le donne e agli uomini di centrosinistra, per costruire una proposta nuova, con una nuova classe dirigente. Credo che molti dei problemi del nostro partito derivino anche dal correntismo esasperato, che adesso dobbiamo archiviare: ci ha allontanato dagli elettori e ha finito spesso per premiare la fedeltà anziché il merito. Serve un partito plurale, non di correnti. E poi finiamola di chiamarci col cognome degli altri. Ho sostenuto Bersani nel 2012, poi Renzi l’anno successivo, ma ho sempre chiesto di essere giudicato per ciò che faccio io”.

Renzi, giusto lui. I suoi avversari la accusano di essere stato un convinto renziano. L’intesa col senatore di Rignano rientra anche questa nell’agenda del partito che verrà?
“L’ho sostenuto convintamente nel 2013, come ha fatto la gran parte del gruppo dirigente del Pd, nonostante molti adesso fingano di non averlo fatto. Detto questo, Renzi ha deciso di abbandonare da tempo il Pd e di creare un partito di moderati, mentre io sono un uomo di sinistra che crede nel Pd e vuole farne un grande partito progressista e riformista. Ci confronteremo con Terzo Polo e 5 Stelle, ma certo non lasceremo loro la rappresentanza esclusiva di moderati e sinistra”.

Ecco, a proposito del Pd che lei immagina: coltiverà ancora la vocazione maggioritaria? O supererà la presunzione dell’autosufficienza?
“La vocazione maggioritaria non è autosufficienza ma apertura, indispensabile per costruire una grande forza progressista e riformista. Serve un Pd più grande in un nuovo centrosinistra che sappia vincere nelle urne, non sui social. Io credo nelle alleanze e le ho sempre praticate, ma senza il Pd non è possibile alcuna alleanza di centrosinistra credibile e la destra resterebbe al governo per i prossimi vent’anni”.

Quindi dialogo anche col M5S? Conte ha aperto al dialogo con voi in Lombardia. Sarà uno degli obiettivi della sua eventuale segreteria?
“No, il mio primo obiettivo è che il Pd torni ad essere e a fare il Pd. Il primo banco di prova della nuova segreteria saranno le europee e le amministrative del 2024, quando voteranno metà dei comuni italiani e alcune regioni: per quella data dobbiamo tornare ad essere il primo partito in Italia e competitivi per vincere nelle grandi e piccole città chiamando a raccolta tutte le energie del centrosinistra e del civismo. Le alleanze per le politiche verranno dopo, adesso tocca alla destra governare e a noi fare opposizione. E farla bene, non sguaiata”.

Che vuol dire non sguaiata?
“Esiste il rischio di una nostra inerzia. Per questo ho fatto un passo avanti e chiedo a tutte e tutti di farlo insieme con me. Non una discussione interna ed eterna, ma un confronto sui problemi degli italiani con proposte e nuove energie. Non opposizione solo urlata, ma concreta e di merito anche quando dura, perché se avremo una proposta alternativa rispetto a quella che criticheremo saremo più credibili agli occhi dei cittadini”.

Lei ha espresso grandi apprezzamenti per la sua ex vice Elly Schlein. Ci dice perché non può essere lei la futura segretaria del Pd? E intanto, opportuno che concorra anche chi non è iscritto?
“Non potrei che parlare bene di Elly, avendole chiesto prima di essere la vicepresidente in Regione e avendola poi sostenuta come candidata al Parlamento. C’è stima e amicizia. Io voglio aprire il Pd e farlo più grande, proprio perché tante e tanti come lei possano tornarci o entrarci. Schlein e io abbiamo due profili politici diversi, ma complementari e confrontarsi sarà positivo a prescindere”.

Che giudizio esprime sulla prima manovra dell’era Meloni?
“Insufficiente e iniqua. Ci sono anche cose positive, intendiamoci, ma servono scelte più nette a favore del lavoro, delle imprese più esposte e delle famiglie in maggiore difficoltà. Frammentare le risorse in mille capitoli non aiuterà neppure a fronteggiare il costo dell’inflazione in molti bilanci familiari. Nel Paese c’è una questione sociale aperta che va affrontata con decisione, per ridurre disuguaglianze e distanze sociali e territoriali”.

Ad esempio, lei manterrebbe il Reddito di cittadinanza così com’è?
“Cancellare una misura universale di sostegno alla povertà è un errore clamoroso e un’ingiustizia profonda. Lo si può e lo si deve certamente correggere e migliorare, ma cancellare lo strumento per fare cassa a favore dei ceti più alti – cioè della Flat tax – è davvero iniquo. Questa destra che si dice “sociale” in questo caso lo è solo a parole”.

Le nuove parole d’ordine “patriottiche”, la guerra dichiarata ai migranti e alle ong, le politiche conservatrici annunciate su sanità, scuola, ordine pubblico: cosa la preoccupa di più della presidenza Meloni?
“Io temo che con questa destra l’Italia torni indietro, che ci isoliamo in Europa, che la società, l’economia e i diritti si fermino, che alle persone più fragili si tolgano risorse e servizi offrendo in cambio paure e nemici da odiare. Meloni indicava Orban come modello, non comprendendo che l’Italia dovrebbe confrontarsi con la Francia e la Germania, non con questa Ungheria”.

Lei ha sconfitto Salvini e la Lega nel 2020 in Emilia Romagna. La destra di Giorgia Meloni in cosa si distingue dal sovranismo del leghista?
“Non è così diversa dalla Lega nazionale di Salvini, che dopo la sconfitta in Emilia-Romagna è però entrata in crisi e ora ricerca altro. Si è potuta battere la destra di Salvini e potremo battere la destra di Meloni. L’importante è avere idee e proposte nostre attraverso cui conquistare un’identità e una credibilità più forti. E smetterla di parlare ossessivamente di loro, ma presentare noi una proposta credibile agli italiani”.

A proposito di Lega, tante polemiche ha sollevato il progetto di riforma autonomista di Calderoli. Lei ha concesso invece qualche apertura. Ci spiega perché?
“In realtà ho ripetuto le stesse cose che dicevo anche ai governi di prima, incontrando l’altro giorno alla Conferenza delle Regioni, su questa impostazione, anche il favore di diverse Regioni del Sud. È per questo che il ministro Calderoli ha ritenuto di correggere il percorso. Una cosa deve essere chiara: non si spacca il Paese e serve un piano serio per il Sud, terra di enormi potenzialità”.

Se eletto segretario, pensa di restare alla guida della Regione come ha fatto Zingaretti? Non pensa sia una partenza ad handicap? Non rischia di far male entrambe le cose?
“Non mi pare che Zingaretti si sia dimesso per il troppo lavoro, ma per le troppe correnti. Il lavoro di squadra in Emilia-Romagna mi ha permesso di ricoprire diversi incarichi nazionali e internazionali in questi anni, come la presidenza della Conferenza delle regioni o quella del Consiglio dei comuni e delle regioni d’Europa. Oggi che quegli incarichi sono terminati credo sia giusto spendersi per il mio partito”.

Più riformismo e responsabilità di governo, meno ideologia e correntismo. Sarà la ricetta del Pd di Stefano Bonaccini?
“Sono un uomo di sinistra. Ho iniziato a far politica da ragazzo perché sognavo di poter costruire un mondo migliore e quell’aspirazione non si è mai indebolita. Da emiliano riformista ho però sempre lavorato perché la politica non fosse fatta di chiacchiere ma di risposte concrete ai cittadini e passi avanti in direzione della giustizia sociale. Sento spesso parlare di lavoro chi non ha mai messo piede in una fabbrica, di periferie chi ha vissuto solo in ztl, di povertà chi frequenta i salotti romani. Io ho un’altra storia, un’altra vita, un’altra esperienza. A me, sia chiaro, del radical chic non lo ha mai dato e non potrà darlo mai nessuno”.

 

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