L’agenda di Giorgia, comunicazione social e diretta. Come i predecessori

Massimiliano Panarari La Stampa 5 dicembre 2022
Giorgia e il diario post-populista
<Pronti ad aprire gli appunti di Giorgia?>. La premier, Giorgia Meloni, scrive questa domanda in stampatello su una pagina della sua agenda, personalizzata con un cordoncino con le lettere del suo nome, e ne pubblica la foto su Facebook

 

Dopo l’Agenda Draghi, l’agenda Meloni (nel senso, anche, direttamente cartaceo). E dopo il governo del Tecnico per antonomasia, quello della premier (forse) «post-populista», per ricorrere all’ultima categoria sfornata dal sempre creativo lessico Censis. O, più verosimilmente, la presidente del Consiglio mette in campo una strategia imperniata su quel principio di disintermediazione che è uno dei pilastri della politica neopopulista (e, seppur con meno tecnologie a disposizione, di quella populista in senso largo). Con un video dove tiene in mano un quaderno su cui campeggia a grandi lettere il suo nome di battesimo, la tuttora leader di FdI ha varato ieri una rubrica settimanale su Facebook, «Gli appunti di Giorgia».

Magari, ha voluto specificare, la cadenza non potrà essere sempre rispettata a causa della marea di impegni, ma questo atto comunicativo social si prenota a rappresentare nell’immaginario collettivo degli italiani una sorta – per meglio dire, un surrogato – di conferenza stampa settimanale. Un appuntamento fisso con l’opinione pubblica, con la differenza strutturale, rispetto al punto stampa, che «se la suona e se la canta». La disintermediazione, giustappunto: ossia la costruzione di una relazione diretta con il pubblico dei simpatizzanti (come pure dei cittadini-elettori in generale), bypassando la mediazione informativa e l’approccio critico che la deve contraddistinguere – e, difatti, una certa sua insofferenza nei confronti delle domande dei giornalisti si è già manifestata a più riprese (e proprio durante le conferenze stampa). Un approccio disintermediante tipico dei leader neopopulisti- fra le numerose definizioni di populismo una delle più condivise è proprio quella che lo descrive nei termini di uno stile e registro comunicativo -, ma anche un “appello diretto al popolo” (sul piano, in questo caso, della pura notiziabilità), in coerenza con una cultura politica quale quella della destra-destra, storicamente fondata sulla propensione per il plebiscitarismo.

Meloni è una donna politica in possesso di uno spiccato talento comunicativo (una dote naturale, amplificata dalla sua poderosa macchina di propaganda e pubbliche relazioni), spesso messo al servizio della veicolazione del messaggio «Sono una come voi». E, difatti, è anche massicciamente presente sui social media, analogamente agli italiani travolti da un’irresistibile corrispondenza d’amorosi sensi per l’autocomunicazione di massa (al punto, come documenta un’indagine resa nota in questi giorni, da passare mediamente trent’anni della propria vita navigando su Internet). Ogni volta che fa dichiarazioni o affermazioni la premier presta una particolare attenzione alla costruzione di un clima di attesa, generando un effetto a metà tra la suspense e l’aspettativa crescente intorno a quello che dirà in seguito, un “arrivederci alla prossima puntata” che funziona a mo’ di esordio perenne (i trattati di retorica antica raccomandavano agli oratori di cominciare il loro discorso promettendo da subito rivelazioni originali e contenuti importanti).

E, dunque, così è stato anche in questo primo video – il proemio (per dirla come i retori romani) del serial politico «Gli appunti di Giorgia» – che, stringendo, si è invece tradotto in un mero “elenco della spesa” dei provvedimenti licenziati dall’esecutivo di destracentro. Ovvero, le “cose già fatte”, secondo una formula di marketing politico inaugurata dal berlusconismo (la prima, e vittoriosa, manifestazione di populismo comunicativo e campagna elettorale permanente). Ma proprio questo è il punto fondamentale: la performatività degli atti comunicativi, per cui “dire” è in qualche modo già “fare” (come ci ricordano i sociologi Giovanni Boccia Artieri, Fausto Colombo e Guido Gili nel loro libro Comunicare, appena uscito da Laterza).

E, dunque, i quaderni su cui Meloni prende gli appunti non sono – ovviamente, e per un’infinità di ragioni – i Grundrisse di Marx, e soprattutto non lo devono essere. Sono sufficienti – almeno per il momento – gli annunci, le prese di posizione e l’asserzione di trasparenza, per cui la premier apre davanti agli occhi dell’opinione pubblica (e “squaderna”, letteralmente) le sue note di lavoro; quella trasparenza integrale rivendicata (ma solo apparente), fondamento tanto dei neopopulismi che dell’ideologia comunicazionista della società delle piattaforme. Senza troppi quesiti scomodi, e saltando a piè pari l’interlocuzione con la stampa a colpi di monologhi online.

 

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