Meloni risponde a Banca d’Italia: le nostre sono scelte politiche

Enrico Marro Corriere della Sera 6 dicembre 2022
Il governo Meloni risponde alle critiche della Banca d’Italia: le nostre sono scelte politiche
Chi è abituato alle audizioni della Banca d’Italia sulle manovre sa che via Nazionale non fa sconti, indipendentemente dal colore del governo di turno. Questa volta, però, c’è un elemento che fa la differenza: la natura politica dell’esecutivo Meloni.

 

Un governo che oltretutto rivendica con orgoglio questa caratteristica, dopo tanti esecutivi tecnici o di emergenza o di grande coalizione, e che dunque reagisce anche alle critiche di una istituzione autorevole come la Banca d’Italia. E la banca centrale non può non saperlo.

In questo contesto si sono sviluppate le polemiche attorno alla relazione di Fabrizio Balassone, capo del servizio economico della Banca d’Italia, ascoltato ieri mattina dalle commissioni Bilancio congiunte di Camera e Senato. Polemiche divampate subito dopo che le agenzie di stampa hanno rilanciato i passaggi più critici, in particolare sull’aumento del tetto al contante e sull’abolizione dell’obbligo per gli esercenti di accettare i pagamenti col bancomat e la carta di credito di importo inferiore a 60 euro.

La banca centrale è stata coerente con le sue posizioni di sempre. Ma anche il governo Meloni lo è. Non solo perché, aumentando da mille a 5mila euro il tetto al contante e limitando l’obbligo di accettare i pagamenti col Pos, ha tenuto fede alle promesse fatte in campagna elettorale, ma perché queste scelte rispondono a una precisa visione politica, dove, per esempio, spiegano autorevoli esponenti del governo, «gli interessi degli esercenti vengono prima di quelli delle banche e degli intermediari finanziari».

E quindi, spiegano a Palazzo Chigi, se «è legittima la visione di Bankitalia a sostegno della moneta elettronica, che è moneta privata, con la stessa legittimità altri — tra cui la Banca centrale europea — sottolineano l’esigenza di non escludere dal circuito il denaro contante, che è l’unica moneta a corso legale».

Solo che trasformare questa legittima visione politica nell’accusa alla Banca d’Italia di rappresentare gli interessi delle banche, come ha fatto a botta calda il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, è stata vista come una stonatura. Il governo, infatti, non può non sapere che le banche azioniste di Bankitalia non hanno alcun ruolo né nella governance né nella linea espressa dal governatore e dal direttorio in piena autonomia. Un valore, questo dell’indipendenza della banca centrale, che fa parte della costituzione materiale del Paese.

E così, in serata, fonti di Palazzo Chigi, sono dovute intervenire per precisare che nelle parole di Fazzolari «non c’è alcuna polemica o volontà di mettere in discussione l’autonomia della Banca d’Italia», verso la quale si «ribadisce pieno apprezzamento».

Che la banca centrale bocciasse le norme sul contante e il Pos non costituisce una sorpresa. Balassone ha argomentato le critiche con studi della stessa Banca d’Italia che mostrano una relazione tra il tetto ai pagamenti in contante e la criminalità organizzata, l’economia sommersa e l’evasione fiscale.

Ha quindi ricordato che l’Unione europea, già nelle Raccomandazioni del 2019, chiese al nostro Paese di potenziare i pagamenti elettronici «obbligatori, anche mediante un abbassamento dei limiti legali per i pagamenti in contanti». E infine ha sottolineato che il Pnrr chiede la «modernizzazione» del Paese e di «continuare a ridurre l’evasione fiscale».

Incidente chiuso? Per il momento. Quanto successo ieri potrebbe infatti ripetersi, per il semplice fatto che la «visione» politica del governo Meloni è oggettivamente lontana dalla linea portata avanti in questi anni dalla Banca d’Italia. Balassone, criticando le misure fiscali in materia di accertamento, contenzioso e riscossione, non a caso ha usato la formula «come più volte ricordato in passato», per ribadire che «interventi di questo tipo — soprattutto se riproposti in forme molto simili e in tempi ravvicinati — possono avere un effetto negativo sul rispetto delle norme tributarie». Anche qui, dunque, nulla di nuovo, come le critiche all’ampliamento della flat tax e all’introduzione della flat tax incrementale, entrambe a favore degli autonomi, che, a parità di reddito, finiscono per pagare meno tasse. Infine, Balassone non ha sorvolato neppure sulla stretta al Reddito di cittadinanza, mettendo in guardia dal rischio di un aumento della povertà una volta che, alla fine del 2023, verrà tolto il sussidio ai teoricamente «occupabili».

Al di là delle schermaglie di ieri, resta che tra il vertice di via Nazionale e gli attuali inquilini di Palazzo Chigi non c’è la consuetudine che ha caratterizzato non solo il governo Draghi, ma anche i precedenti. Il tutto mentre il governatore, Ignazio Visco, si avvicina alla fine del suo mandato (31 ottobre 2023). In panchina si sta già scaldando Fabio Panetta, ora nel board della Bce. Ma la difficile convivenza tra governo e governatore dovrebbe durare ancora per quasi un anno.

 

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