Quel sottinteso nel progetto Nordio

Stefano Folli La Repubblica 9 dicembre 2022
Quel sottinteso nel progetto Nordio
C’ era un sottinteso nel programma di riforme che il ministro Guardasigilli ha anticipato in commissione al Senato.

 

 

Sottinteso che egli stesso ha svelato il giorno dopo, quando ha detto di essere “pronto anche alle dimissioni” per difendere il suo progetto. È un punto politico ricco di implicazioni da non sottovalutare.

Si dirà che non c’è nulla di sorprendente: chi è impegnato a lanciare un disegno riformatore deve mettere sul tavolo anche la possibilità di lasciare. Tuttavia stavolta i tempi sono accelerati, dal momento che il piano deve ancora essere calato nei disegni di legge. Lo stesso ministro ha fatto una distinzione tra interventi in via ordinaria (ad esempio le intercettazioni) e altri che richiedono modifiche alla Costituzione, in primo luogo il tabù per eccellenza: la separazione delle carriere dei magistrati (c’è un pamphlet in uscita da lui scritto, titoloGiustizia , in cui è ben spiegata la sua visione circa il ruolo della magistratura in uno Stato moderno). Nordio ha fatto capire che le questioni più urgenti saranno trattate attraverso la procedura ordinaria, mentre ciò che ha rilievo costituzionale sarà affrontato in un secondo tempo. A leggere le cronache non sembra che tale slittamento dei tempi, adombrato al fine di rassicurare, abbia prodotto qualche risultato. Ma qui conta di più valutare l’accenno a eventuali dimissioni.

Da un lato si dimostra la determinazione del ministro, il non voler lasciare dubbi circa la sua volontà. Dall’altro si può pensare a un’uscita un po’ impolitica: una maggiore esperienza parlamentare avrebbe consigliato di tenere nella manica questa estrema carta, da calare sul tavolo solo al momento opportuno. Ma c’è una terza spiegazione che coinvolge, oltre al ministro in carica, la presidente del Consiglio: colei che più di tutti e con una certa caparbietà lo ha voluto in via Arenula. Giorgia Meloni si è affrettata a dichiararsi del tutto d’accordo con la linea esposta da Nordio a Palazzo Madama. E si può pensare quel che si vuole di una riforma di cui conosciamo solo la cornice generale e che andrà analizzata con attenzione e spirito critico, ma è difficile negarne l’ispirazione liberale e garantista. Rispecchia la cultura giuridica del ministro, il che l’allontana di parecchio dal “giustizialismo di destra” tipico, fino a qualche tempo fa, del partito dell’attuale premier. La quale oggi sembra voler legare il suo destino a quello del ministro liberale da lei voluto. E c’è una logica.

La riforma della giustizia diventa la discriminante che potrà decidere in futuro la legislatura. Giorgia Meloni vuole durare in carica, ma è senza dubbio consapevole che sul terreno dell’economia e delle politiche sociali, sia per la scarsità delle risorse sia per i vincoli europei, non avrà grandi spazi di manovra. Occorrono altri temi per dare un senso al governo di centro-destra. Uno riguarda la riforma in senso presidenziale della Repubblica; l’altro è una riforma radicale della giustizia. Tuttavia il primo non mobilita l’opinione pubblica, il secondo invece sì. Come è ovvio, tutti sono interessati al buon funzionamento della macchina giudiziaria e molti hanno qualche ingiustizia vera o presunta di cui lamentarsi. S’intende, Nordio dovrà impegnarsi, insieme alla sua presidente, a far camminare in Parlamento il progetto di cui ha fornito rapidi cenni. Ma se la matassa dovesse aggrovigliarsi oltre misura, ecco il “piano B”. A quel punto le dimissioni del ministro non sarebbero una questione personale, bensì un fatto politico di assoluta rilevanza. Non uscirebbe di scena il solo Nordio, ma la premier e la sua compagine. Sceglierebbe di cadere su un terreno propizio: la giustizia, appunto; e non su un tema scelto dall’opposizione.
Dopodiché sarebbe difficile immaginare un governo tecnico o “del presidente”. Nuove elezioni sarebbero alle porte.

 

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