Bce, la vittoria dei falchi, Italia il debito torna a spaventare

Federico Fubini Corriere della Sera 16 dicembre 2022
Bce, la vittoria dei falchi e la strettoia per l’Italia alle prese con il debito
Ha preso forma con la pandemia un cambio strutturale nella zona euro, che solo adesso inizia a diventare esplicito.

Durante la lunga coda della crisi dell’euro, la Commissione e il consiglio dei ministri finanziari dell’area erano più restrittivi del necessario in politica di bilancio e la Banca centrale europea compensava (in parte) con una spinta espansiva. Da qualche tempo invece accade l’opposto, come si è visto ieri. Non per la prima volta da quando Christine Lagarde è presidente, la Bce ha sorpreso i mercati in senso restrittivo mentre l’approccio dei politici a Bruxelles sul debito e il deficit resta meno rigido rispetto al decennio scorso. Se le posizioni sono cambiate, in parte è perché sono cambiati i fatti stessi.

Un anno fa nessuno prevedeva che l’inflazione nell’area avrebbe superato il 10% nell’autunno del 2022: in ritardo come la Federal Reserve negli Stati Uniti, dall’estate la banca centrale ha dovuto inseguire con la serie di rialzi dei tassi più aggressiva dal lancio dell’euro nel 1999. Intanto però nei 43 piani della torre della Bce sul Meno si stava consumando uno spostamento degli equilibri. Dopo anni in minoranza sul piano intellettuale e di potere, durante la presidenza di Mario Draghi, l’ala monetarista ha ripreso il controllo che aveva avuto fino al 2011. Lo ha ripreso nel comitato esecutivo dei sei banchieri centrali di stanza a Francoforte, ma ancora di più nel Consiglio dei governatori che riunisce anche i 19 delle capitali dell’euro (presto venti con la Croazia).
Lagarde non rientra in quel gruppo, ma è politicamente più riluttante o meno solida sul piano tecnico per contenerne la spinta. Così il messaggio da Francoforte sembra determinato più dalla tedesca Isabel Schnabel nell’esecutivo e l’agenda dalle banche centrali di Germania e Olanda. Poche volte come ieri il ribaltamento dei rapporti di forza è emerso alla luce del sole. Proprio ora che la crescita dei prezzi ha preso a rallentare e la recessione in area euro potrebbe essere già in atto, a sorpresa la Bce ha rivisto drasticamente al rialzo le previsioni sulla corsa dei prezzi. Lo ha fatto ieri che, non a caso, le banche centrali nazionali hanno avuto un ruolo importante nel fare le stime.

Si vede la mano della Bundesbank: prevede un’inflazione media ancora al 6,3% nel 2023, che significa circa al 3,5% fra un anno poiché oggi è al 10%. Ma questo appare illogico e incoerente con una previsione ferma al 3,4% anche nel 2024. L’ex vice presidente della Bce Vitor Constâncio ha definito le stime «controverse». Sembrano fatte non per capire l’economia, ma per giustificare un approccio intransigente mentre l’area euro è ferma e la produzione industriale in caduta. Così il vertice di ieri ha tutta l’aria di essere finito con uno scomodo scambio: il 30% più monetarista del Consiglio voleva un altro maxi-aumento dei tassi da 0,75% (più della Fed) e ha rinunciato solo in cambio dell’annuncio immediato di una restrizione più dura del previsto nei prossimi mesi. Con il rischio di far perdere credibilità alla Bce, se poi dovrà cambiare strada di fronte alla recessione.

I rischi maggiori però ora li corre l’Italia. Le emissioni di titoli di Stato nel 2023 varranno quasi di sicuro ben oltre 450 miliardi, fra rinnovi e nuovo deficit. Le nuove emissioni nette da collocare senza l’aiuto della Bce varranno circa 70 miliardi, un record da quando c’è l’euro. Ciò avrà due implicazioni per il governo. La prima è l’esigenza di eseguire senza ritardi le riforme del Piano di ripresa (Pnrr), perché solo così si sbloccano 19 miliardi di fondi europei in inverno e altri 16 in estate: questa liquidità diventa fondamentale in tempi di debito pubblico sempre più caro. Ma la seconda conseguenza sarà forse di ridurre in parte i sussidi per il caro-energia da primavera, per le stesse ragioni. Perché il nuovo regime in area euro, con più tolleranza sui deficit ma una Bce meno tollerante, non vale come quello opposto di prima. I due fattori del vecchio regime erano compatibili, invertirli no. Avere più deficit e un costo del debito spinto in alto dalla banca centrale può portare alla rottura. Forse allora Lagarde deciderà di frenare i falchi.

 

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