Pd condannato alla subalternità ai 5 stelle

Stefano Folli La Repubblica 16 dicembre 2022
Pd e 5S, luci e ombre a sinistra
Qualcosa si muove a sinistra, anche se non è del tutto chiaro in quale direzione. Lo sfondo è l’incertezza provocata dallo scandalo disastroso del Parlamento di Strasburgo.

Non si sa ancora fino a che punto si allargherà la macchia d’olio, ma la minaccia rischia di addensarsi sull’intero sistema, sulle famiglie politiche che hanno dominato nell’Unione per decenni. Non a caso l’ungherese Orbán, forse l’avversario più esplicito dell’attuale assetto europeo, se la ride sotto i baffi. In realtà si è ancora in tempo per fare pulizia, ma resta da capire se ci sono la volontà e il coraggio di agire, accettando tutti i risultati delle inchieste.
Questo è appunto lo sfondo e riguarda tutti.

Nel concreto, le ultime ore a sinistra hanno visto due episodi di un certo rilievo. Il primo è stato l’intervento di Giuseppe Conte in Parlamento sulla guerra in Ucraina. Toni più decisi del solito, quasi aggressivi, anche nelle consuete contraddizioni retoriche. Da un lato professioni di lealtà “verso la Nato e l’Alleanza Atlantica”, che come è noto sono sinonimi: ma come diceva Totò, abbondiamo. Dall’altro, i consueti argomenti filo-Putin usati per rivolgersi a una certa opinione pubblica, è ovvio, ma anche per fissare la distanza dal Pd, bersaglio di tutta la strategia contiana.

Secondo episodio, l’adesione dei 5S alla candidatura Majorino in Lombardia, in vista della contesa di febbraio contro Fontana e Letizia Moratti. Con qualche sussiego, senza concedere nulla al partner e senza enfatizzare la prospettiva dell’accordo, Conte ha annunciato che il Pd e il movimento voteranno lo stesso candidato alla Regione.

Gli ottimisti la leggono come una svolta, un modo per accantonare la frattura del 25 settembre e avviarsi insieme lungo una nuova strada. In realtà non è proprio così. In Lombardia Conte ha tutto da guadagnare. Se Majorino trae vantaggio dall’alleanza, i 5S incassano il loro dividendo politico, quale che sia il risultato elettorale. Ma anche nel caso in cui la candidatura non decollasse, l’asse Pd-M5S avrebbe scavato un fossato rispetto all’ipotesi Moratti sostenuta da Calenda-Renzi. Qui è il vero obiettivo di Conte. Come dicono gli americani, è un’alternativa win-win: ossia vince qualcosa in un senso o nell’altro.

Questo spiega meglio anche l’insistenza sulla linea filo-russa rispetto alla guerra in Ucraina.
Tutto si tiene. Conte vuol dimostrare di mantenere in modo costante l’iniziativa nei confronti del Pd. Sa bene che una spaccatura così evidente sulla politica estera dovrebbe costituire un impedimento a qualsiasi alleanza. Almeno, una volta era così, come insegna la storia della prima Repubblica.

Tuttavia l’ex premier non se ne cura, anzi accentua i distinguo. Può farlo perché ormai si sente il padrone politico del centrosinistra. In un certo senso si sta realizzando la profezia di Zingaretti che vedeva Conte come “il punto di riferimento di tutte le forze progressiste”. Non siamo ancora a quel livello, ma è istruttivo che i 5S non facciano nulla per celare le loro posizioni filo-russe nel momento in cui il Pd vota il sostegno all’Ucraina in uno schema di unità nazionale, quindi senza preoccuparsi di mescolare i suoi voti con quelli del centrodestra.

Al tempo stesso, mentre prende le distanze sulla politica estera, Conte garantisce il sostegno a Majorino in Lombardia (ma non a D’Amato nel Lazio, il candidato del Pd che ha l’appoggio del detestato “Terzo polo”). Un giorno dopo l’altro, l’obiettivo contiano è ridurre il margine d’azione del partito democratico, spingendolo a inseguire i 5S persino nel giudizio sulla guerra. Non è ancora accaduto e forse non accadrà nel prossimo futuro, grazie alla linea salda che su questo punto Enrico Letta ha saputo tenere.

Ma senza dubbio, quando si riparla di intese tra Pd e 5S, il bandolo della matassa non è più nelle mani degli eredi del connubio tra democristiani e post-comunisti.

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