Il Pos come prova generale del Mes

Stefano Folli La Repubblica 20 dicembre 2022
Il Pos come prova generale del Mes
C’ è un filo tutto politico che unisce la questione Pos alla questione Mes, in una giostra di sigle non sempre familiari al pubblico.

 

 

È un filo che non riguarda le analisi economiche proposte in questi giorni: dai rischi di evasione fiscale agli interventi per la sanità pubblica, ossia gli argomenti di chi, in nome della lealtà europea, si oppone alla soglia del contante ed è invece favorevole, come la maggioranza degli economisti, alla ratifica del fondo salva-Stati, appunto il Mes, da dedicare al rinnovamento delle strutture sanitarie.

I critici hanno salutato con soddisfazione la “retromarcia” del governo Meloni sull’uso del contante. Ci hanno visto il primo passo falso, o se si preferisce la prima sconfitta nel confronto con l’Unione. I più intransigenti — ad esempio Della Vedova — si sono spinti a concludere che la conversione europea del destra-centro è fittizia e che, grattando la superficie, subito riemerge il vecchio populismo tendente a isolare l’Italia. Sono polemiche che come sempre contengono un nocciolo di verità. Ma è possibile che l’esecutivo abbia lanciato la campagna in favore del contante ignorando che l’Europa si sarebbe opposta in nome dell’uniformità delle regole nei vari Paesi dell’Unione? Sembra strano. La verità è che il cammino europeo dell’alleanza di governo si svolge sul filo dell’ambiguità. In patria si fa ricorso ancora al vecchio bagaglio ideologico per tranquillizzare un certo elettorato, educato per anni a diffidare della costruzione europea oppure a vedere nelle banche dei centri di potere semi-occulto, nemici dell’uomo della strada.

Pur senza i toni usati fino a poco tempo fa dall’opposizione, Fratelli d’Italia ritiene di aver trovato al momento la quadratura del cerchio. Il messaggio all’opinione pubblica è implicito: noi vorremmo prendere le distanze dall’Europa e mantenere la nostra sovranità su alcuni punti chiave. Tuttavia, dopo che gli organi dell’Unione hanno respinto l’iniziativa italiana, si arretra sul Pos e si lascia intendere che per ora non è possibile sottrarsi alla norma generale. Il segnale intanto è arrivato: a noi non piace questa Europa e se potessimo ne faremmo a meno, tuttavia occorre pazientare. Di conseguenza tutto lascia pensare che accadrà per il Mes quello che è, appunto, avvenuto con il Pos. In fondo il ministro dell’Economia, l’altro giorno in Parlamento, non ha chiuso la porta. Ha sottolineato: deciderà il Parlamento. Come dire che ha guadagnato tempo senza escludere nulla e limitandosi a rinviare il problema.

Se ne può dedurre che il tortuoso zigzagare sul Pos è probabilmente la prova generale dell’analogo zigzagare che attende il Mes. Con la prevedibile conclusione: come sul Pos ci si è arresi alla volontà dell’Unione, così accadrà con il fondo salva-Stati (almeno per quanto riguarda la ratifica). Naturalmente il governo di Roma non è obbligato e può anche decidere di sfidare l’isolamento. Ma non sembra che sia questa l’aria. Se non si è tenuto il punto sul tema del contante, invero una piccola cosa, è poco verosimile che accada qualcosa di diverso sul Mes, che è questione assai più impegnativa. Il punto è che il governo italiano, al di là di qualche velleità, non ha la forza politica per immaginare e sostenere una diversa idea dell’Europa.

Opporsi alla moneta elettronica significa avere una visione del tutto alternativa rispetto all’Unione di oggi. A maggior ragione rifiutare il Mes sarebbe persino logico se si fosse messa in campo una strategia anti-Bruxelles. Ma non c’è niente di tutto questo, anzi c’è la volontà di farsi accogliere nella vecchia Europa, con tutti i suoi difetti, senza tuttavia perdere il consenso. Il risultato è il piccolo cabotaggio, senza slanci innovativi per quanto riguarda la gestione della finanza pubblica, vale a dire prima di tutto la montagna del debito.

 

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