Meloni vuole cambiare qualcosa prima che la coalizione esploda

Francesco Verderami Corriere della Sera 21 gennaio 2023
Meloni, il cambio di marcia della leader per rafforzarsi al timone: «Dobbiamo essere più ordinati»
La premier, le direttive ai ministri e il modello di comunicazione: così intende smentire l’immagine un po’ naif che ha accompagnato l’esordio del governo

La macchina di governo non va, o almeno non va come Meloni vorrebbe che andasse. È vero che la legislatura è iniziata in modo anomalo, che l’esecutivo non ha avuto nemmeno il tempo di giurare e si è trovato a dover varare in poche settimane la Finanziaria. Che insomma non c’è stato nemmeno il tempo del rodaggio: la concitazione degli eventi ha costretto Palazzo Chigi a prendere decisioni non facili, adottando provvedimenti urgenti e costringendolo in alcuni casi a fare retromarcia.

Ma dopo l’abbrivio dei primi mesi l’alibi non regge più e peraltro la premier — ossessionata dall’idea della perfezione — non intende usarlo come scudo. Perciò vuole «cambiare modello», immaginando — racconta una fonte molto autorevole — «meccanismi idonei per un maggiore coordinamento» tra i ministri. E anche lei si è messa in discussione, siccome «abbiamo dato all’esterno la sensazione che voglia fare tutto da sola. Non è così, ma è così che appare».

Ecco la riflessione che ha spinto l’altro ieri Meloni in Consiglio dei ministri a invitare la sua squadra di governo a ridurre l’uso dei decreti legge e privilegiare l’adozione dei disegni di legge. Certo, c’entra la richiesta che un paio di settimane fa le aveva fatto il presidente della Camera Fontana. È un segnale di rispetto e di attenzione verso il ruolo del Parlamento. È un modo per accogliere i suggerimenti del Colle. Ed è anche un gesto di coerenza, dato che per anni dai banchi dell’opposizione ha protestato contro i premier che espropriavano il dibattito in Aula a colpi di decreti e di fiducie.

Ma c’è dell’altro. Non è un problema di contrasti all’interno dell’esecutivo e nemmeno di relazioni con gli alleati che provano a intralciare il passo. Dietro la scelta tecnica c’è un tema politico: se l’obiettivo di Meloni è consolidarsi a Palazzo Chigi (e nel Paese), va intanto smentita con i fatti e gli atti quell’immagine naif che sta accompagnando la narrazione del suo gabinetto dall’esordio. E allora è necessario un uso più accorto del rapporto con i media — tema sul quale la premier si è già fatta sentire con alcuni ministri — e soprattutto «un’azione ordinata di governo», come sottolinea uno dei suoi maggiori rappresentanti.

Traduzione dal politichese: evitare la confusione. Non a caso l’argomento ha fatto capolino nell’incontro di ieri con l’inquilino di Montecitorio, al quale Meloni ha spiegato che — al di là delle urgenze da affrontare per decreto — cercherà di organizzare il lavoro dell’esecutivo «per argomenti», dando così «direttive ai ministri». La pianificazione agevolerebbe le relazioni con le Camere e paradossalmente potrebbe garantire un iter più spedito ai provvedimenti. Fontana ha accolto con favore l’intenzione del governo di restituire centralità al Parlamento: «Sarebbe una svolta epocale».

La presidente del Consiglio è cosciente dei problemi da affrontare e scorge «varie cose» all’orizzonte che renderanno complessa la sua navigazione: «La situazione economica— dice chi le ha parlato — la fa sempre dormire poco tranquilla».

Al pari della guerra. Al Consiglio supremo di difesa, si è presentata davanti al capo dello Stato offrendo l’impressione di aver piena contezza del dossier. È in questo contesto che si arriverà al passaggio elettorale di febbraio. E c’è un motivo se Meloni ha assegnato alle Regionali «valore politico»:

«Quel voto — anticipa un rappresentante di FdI — segnerà l’inizio della fine del centrodestra come finora l’abbiamo conosciuto. È un problema che Giorgia vorrebbe posticipare ma che dovrà affrontare».

Quanto sia delicato il tornante lo si intuisce dalla crisi del rapporto tra Forza Italia e Lega, già incrinato nei giorni della formazione del governo.

Staccati nei sondaggi e alla ricerca di consensi, i due partiti hanno preso a farsi la guerra, al punto che in Lombardia l’assessore azzurro Rizzi è passato all’ultimo momento con il Carroccio. Che l’ha subito candidato. Un vero e proprio affronto. «Salvini — dice uno dei maggiorenti forzisti — aveva garantito che non sarebbe successo. Berlusconi se l’è segnata al dito».

Tanto che il Cavaliere in questi giorni non ha mai dato il suo endorsement alla riforma dell’Autonomia. È la fine dell’asse su cui aveva puntato un pezzo di Forza Italia. È l’anticipo di un definitivo mutamento della coalizione. Anche per questo Meloni deve organizzare meglio il suo governo. Perciò vuole «cambiare modello».

 

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