Non è guerra per procura, la scelta definitiva di Kiev

Angelo Panebianco Corriere della Sera 30 gennaio 2023
Non è guerra per procura, la scelta definitiva di Kiev
Le armi della Nato non sarebbero servite da sole a fermare «l’operazione speciale», l’invasione russa dell’Ucraina. A fermarla è stata la volontà degli ucraini di non soccombere, di non farsi schiavizzare da Putin

 

 

Quasi sempre le nostre affermazioni sul mondo che ci circonda, anche quando ci sforziamo di presentarle come obiettive, si reggono su un «non detto», su un insieme di assunti impliciti. Svelarli aiuta a capire perché le persone scelgono di interpretare in un modo oppure in un altro le cose del mondo. Due idee circolano fra i critici dell’appoggio occidentale alla Ucraina. La prima è che quella degli ucraini sia una «resistenza per procura», per conto terzi. È il governo degli Stati Uniti che se ne serve perpetuando così la guerra. Essa non sarebbe altro che un aspetto della competizione di potenza fra Stati Uniti e Russia.

La seconda idea è che Zelenzky sia un prepotente, un ingordo. Vuole addirittura vincere la guerra. Va ricondotto a più miti consigli, deve abbassare la cresta. Tanto l’idea della resistenza per procura quanto il giudizio su Zelensky, si reggono su un assunto: nelle guerre, e più in generale nella politica internazionale, contano solo i governi, le persone comuni non contano nulla, ciò che esse credono e vogliono vale meno del due di picche.

Ci sono alcuni «pupari» e tutti gli altri sono pupazzi manovrati dai primi. È vero: come ha scritto Goffredo Buccini (Corriere, 28 gennaio) questo sembra essere anche il credo di certi analisti di professione della politica internazionale, interessati a studiare solo le mosse dei governi. In ogni caso, l’idea che sia irrilevante ciò che vogliono le persone comuni è condivisa oggi da quasi tutti i critici del sostegno occidentale all’Ucraina.

La resistenza per procura è una variante di quelle che si sono sempre chiamate «guerre per procura», ossia quelle guerre locali in cui due grandi potenze rivali si scontrano indirettamente lasciando che sui campi di battaglia si azzuffino i rispettivi clientes. La guerra locale non sarebbe altro che una manifestazione del confronto fra le grandi potenze. Ma le guerre per procura sono come gli Ufo: tanti credono nella loro esistenza, nessuno ha mai portato prove convincenti.

In realtà, le guerre per procura non sono mai esistite: coloro che localmente si combattono lo fanno per ragioni che dipendono dai loro (locali) contenziosi. Lungi dall’essere i pupari le grandi potenze si accodano, sono obbligate a sostenere, ciascuna, il proprio cliente.

Per le stesse ragioni non esiste nemmeno la resistenza per procura. Le armi della Nato non sarebbero servite da sole a fermare «l’operazione speciale», l’invasione russa dell’Ucraina. A fermarla è stata la volontà degli ucraini di non soccombere, di non farsi schiavizzare da Putin.

Zelensky è la loro guida ma nulla avrebbe potuto se un intero popolo non avesse scelto di seguirlo nella difesa del proprio Paese e della propria libertà. Nelle guerre non c’è mai soltanto in gioco il potere di questo o di quello. Prima ancora, conta ciò che pensano e vogliono quelle persone comuni, ignorate o sottovalutate dai critici dell’appoggio occidentale all’Ucraina.

Invece di avanzare la pretesa che gli americani, insieme agli altri occidentali, ricattino gli ucraini negando loro le armi se non vorranno cedere a Putin ampia parte del loro territorio, chi vuole davvero la fine della guerra dovrebbe augurarsi che la Cina — la quale dispone dei mezzi dissuasivi — decida che sia nel proprio interesse fermare la mano armata di Putin. Anche se il modo migliore per arrivare alla pace sarebbe comunque la vittoria ucraina sul terreno, la liberazione da parte degli aggrediti dei loro territori occupati.

Proprio pensando ai cittadini ucraini, combattenti e non, e a cosa è accaduto nelle loro menti e nei loro cuori, possiamo dire che questa immane tragedia almeno una cosa buona l’ha prodotta: l’Ucraina non è più un «Paese in bilico», diviso fra Oriente e Occidente.

È un Paese che ha fatto una scelta definitiva, che vuole essere parte integrante del club delle democrazie europee. E ciò rafforza anche l’Europa, ne allarga i confini. È forse questa la più grave sconfitta di Putin. Egli ha fatto diventare filo-occidentali anche molti che, prima della guerra, non lo erano, ha ottenuto il contrario di ciò che si proponeva.

Anche certi giudizi su Zelensky il «prepotente» sono il frutto della stessa sottovalutazione di ciò che vogliono gli abitanti dell’Ucraina. Lasciamo da parte quelli che dileggiano Zelensky, che ne parlano come se fosse un pagliaccio. Per qualificare costoro non si può che consigliare la lettura di un celebre e ironico libretto sulla stupidità scritto anni fa dallo storico Carlo Maria Cipolla.

Limitiamoci a considerare i critici più seri e civili, quelli che pensano che Zelensky debba comunque essere fermato, che non gli si debba permettere di aspirare alla vittoria contro l’invasore. In molti casi chi la pensa così è mosso dalla comprensibile (e legittima) preoccupazione che la guerra possa debordare dall’Ucraina, trasformarsi in un conflitto armato fra la Russia e la Nato. Ciò che essi chiedono è ragionevole in apparenza ma non lo è nella sostanza. Come ha scritto giustamente Adriano Sofri sul Foglio. Zelensky non è solo.

Deve rispondere di ciò che fa di fronte a un intero popolo. E quel popolo è composto da persone che hanno provato indicibili sofferenze, che hanno visto morire — in combattimento, sotto i bombardamenti o per le torture — parenti e amici, che hanno avuto le loro case distrutte, le loro vite totalmente sconvolte. Pensare che i leader possano decidere in piena autonomia, prescindendo dagli orientamenti e dai sentimenti di quelle persone, è frutto di un abbaglio. Né Zelensky né gli occidentali che lo appoggiano possono farlo. È Putin, l’invasore, che dovrebbe essere costretto a rinfoderare gli artigli, non Zelensky. Anche se sappiamo che gli occidentali nulla possono su questo terreno.

Non ci sono pupazzi ma esseri umani. L’assunto implicito secondo cui a contare sono solo i pupari è inconsistente. Coloro che non sono semplicemente amici di Putin, coloro che in buona fede vogliono — come tutti vogliamo — che la guerra finisca, dovrebbero chiedersi: cosa farei io se il mio Paese venisse invaso, se vedessi uccidere tante persone, comprese quelle a me più care, se vedessi intorno a me distruzione e morte? Sarei disposto a darla vinta all’aggressore? La massima «non fare ad altri ciò che non vorresti venisse fatto a te» può essere, per l’occasione, così riformulata: non pretendere che gli altri facciano ciò che tu non faresti.

 

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