Zingaretti sosterrà Schlein: «È l’unica che può cambiarci»

Maria Teresa Meli Corriere della Sera 31 gennaio 2023
Zingaretti sosterrà Schlein: «È l’unica che può cambiarci». E gli ex M5S agitano il Pd
Capita che uno scambio di battute scherzose fotografi lo stato in cui versa un partito assai meglio di un lungo e defatigante dibattito. È il caso del siparietto di ieri tra Matteo Lepore e Stefano Bonaccini.

 

Si parla di intelligenza artificiale e di come sia utile in diversi campi. Il sindaco di Bologna chiede sorridendo al governatore dell’Emilia-Romagna: «Forse servirà ad aiutare il Partito democratico…». Replica pronto Bonaccini: «Quella è una cosa ancora più complicata…».

I due (Lepore e Bonaccini) sono entrambi ben consci delle difficoltà del Pd. Rivelatesi con grande evidenza anche in questi ultimi giorni, dopo il «caso Giarrusso». È bastata la provocazione di sabato dell’ex Iena per mandare in tilt i dem (e per fortuna dei pd Di Maio ha smentito le voci secondo cui stava per iscriversi anche lui). Poi sul caso Giarrusso è arrivato il tweet di Alessandro Gassman — «Non vi voto mai più. Adieux» — che ha gettato nell’ulteriore sconforto i dem. Nardella e Bonaccini sono costretti a tornare a intimare all’ex Iena di chiedere scusa al Pd. Paola De Micheli si dichiara contraria alle «porte girevoli». Categorico Orfini: «Giarrusso non c’entra con il Pd quindi non entra». Insomma, il delirio. Ne approfitta Calenda: «Che tristezza per i dem questi ingressi». Elly Schlein, però, non infierisce: «Non mi occupo degli eventi degli altri candidati». E nel frattempo incassa l’endorsement di Nicola Zingaretti: «Solo lei ha il coraggio di cambiare. La mia denuncia, dopo le dimissioni, non era uno scatto di nervi, era un grido d’allarme. E purtroppo quanto è accaduto, anche dopo il 25 settembre, dimostra che il gruppo dirigente del Pd non ha avuto il coraggio di dare una risposta alla crisi del partito».

Bonaccini intanto cerca di chiudere la vicenda Giarrusso, invitando a «guardare oltre». E il pragmatico Beppe Sala, che l’altro ieri sera ha visto il governatore, si occupa di altro ed esorta: «Ci vuole un segretario che resti a lungo per ricostruire il partito». Già, questo è uno dei difetti dem: una volta concluso un congresso, ne inizia un altro strisciante con l’obiettivo di far saltare il nuovo leader.

E nessuno può escludere che questa collaudata prassi riprenda a breve. Anche perché il ventilato arrivo di una nuova generazione ai vertici del Pd ha spiazzato i leader delle correnti che temono di perdere le loro posizioni di forza. Andrea Orlando, per esempio, è stato costretto a «inseguire» il suo ex pupillo Beppe Provenzano, uno dei primi a sostenere Schlein, per non vedersi sfuggire un pezzo della sua componente. E che non sia contento lo si deduce da quello che dice: «Il tema del rinnovamento del gruppo dirigente sta avendo un esito comico, perché quelli che lo teorizzano sono spesso più vecchi di quelli che vogliono sostituire». Lo stesso Zingaretti è stato battuto sul tempo dai «suoi» Marco Furfaro e Stefano Vaccari, che hanno aderito alla mozione di Schlein prima di lui e che ora giocano un ruolo di primo piano. Anche Orfini, che sostiene Bonaccini, ha visto andare via dai «Giovani turchi» Chiara Gribaudo che preferisce tentare l’avventura in proprio con Schlein. Lo stesso è accaduto a Franceschini, a cui Pina Picierno ha detto addio per correre in tandem con Bonaccini.

Insomma, sono sempre meno i dem che seguono le direttive dei loro capi corrente. E questo, c’è da starne certi, provocherà nuovi sommovimenti dopo le primarie.

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