Internet è la nostra casa digitale, difenderla è un dovere per tutti

Riccardo Luna La Stampa 6 febbraio 2023
Internet è la nostra casa digitale, difenderla è un dovere per tutti
Il primo blackout risale al 27 ottobre 1980: si fermò Arpanet, ma se ne accorsero pochi. Oggi un problema prolungato cambia la vita a centinaia di milioni di persone nel mondo

Metto le mani avanti. Questo articolo è stato scritto senza Chat GPT, l’intelligenza artificiale di cui tutti parlano. In realtà è stato scritto anche senza poter chiedere una mano a Google, senza passare dalla sempiterna Wikipedia, senza poter vedere cosa si dice sui social. Insomma, è stato scritto senza Internet. Sono uno dei milioni di utenti impattati dal Tim Down e intanto scrivo ma chissà come lo trasmetterò in redazione: forse dettandolo al telefono come si faceva una volta. Ma nelle redazioni i dimafonisti – gli addetti a trascrivere gli articoli dettati al telefono – non ci sono più. Sono tornato negli anni ‘80. Allora ci fu il primo black out di Internet della storia: era il 27 ottobre 1980 e un malfunzionamento degli IMP (gli Interface Message Processor, i computer usati per connettere i nodi della rete, oggi li chiamiamo router), bloccò per qualche ora Internet, che ancora era Arpanet in realtà. Ma se ne accorsero in pochi, qualche decina di professori universitari: questa infatti era la rete nel 1980.

Adesso, invece, un problema prolungato di Tim cambia la vita di decine di milioni di italiani. Che è successo? Stando a quello che dice l’azienda non si tratta di un attacco hacker ma di un malfunzionamento «dell’interconnessione internazionale che impatta il servizio a livello nazionale». Se così fosse non sarebbe uno scandalo, non ci sarebbe da indignarsi per la qualità della rete nostrana e neppure per quella globale. Internet ha dimostrato ovunque una eccezionale resilienza: quando all’inizio della pandemia gli utenti si sono improvvisamente moltiplicati (stavamo sempre online) ha retto alla grande. Ma i guasti o i problemi in rete accadono; ogni tanto vanno giù anche Google, Whatsapp e Amazon che pure hanno spalle molto più larghe dell’azienda italiana.

A volte i problemi sono causati da attacchi esterni, ma spesso si tratta di errori umani. Solo che essendo gli utenti di Internet ormai più di cinque miliardi, gli errori sono più vistosi. Questo fenomeno un paio di anni fa un esperto l’ha spiegato così: «Stiamo mettendo sempre più uova negli stessi cestini, e ogni tanto qualche uovo si rompe». Fastidioso, ma non è una tragedia.
Nelle stesse ore la nostra Agenzia nazionale per la cybersicurezza ha diramato una nota per avvisare che è in corso in Italia e nel mondo «un attacco hacker su larga scala». E questa è una storia diversa. Che non riguarda la presunta fragilità della rete ma le reali vulnerabilità dei server, ovvero dei computer, tramite i quali le nostre istituzioni abitano il mondo digitale. Anche qui, occorrerà attendere per saperne di più – chi ha attaccato, quali istituzioni sono state compromesse – ma qualcosa si può già dire. La vulnerabilità dei server attaccati era nota da tempo: se ne parla da sei mesi almeno; il 7 ottobre scorso l’azienda americana che li produce ha ufficialmente rilasciato «il patch, il cerotto informatico» per riparare la falla; e l’attacco a livello internazionale è scattato venerdì scorso.

Se davvero non eravamo pronti, perché non eravamo pronti? L’Agenzia nazionale per la cybersicurezza, da quando è stata costituita, ha continuato a diramare appelli a tutti coloro che si occupano dei sistemi informatici della pubblica amministrazione, ad aggiornare le rispettive difese. Non è una opportunità, è un dovere. E’ come quando un produttore automobilistico richiama tutte le vetture perché si è riscontrato un problema ai freni o al sistema elettronico: se ignori quella richiesta e oggi la tua macchina finisce contro un muro o è nelle mani di un ladro, con chi vuoi prendertela?

Il problema è che quella macchina è anche nostra: al momento non sappiamo quali enti siano stati attaccati e con quale gravità, ma si parla di ministeri, università, ospedali. Non è uno scherzo, non è nemmeno la chat di lavoro che non mi funziona o la partita in streaming che non va. La sicurezza nazionale di un paese, il suo funzionamento, dipendono sempre di più dalla integrità dei sistemi informatici della pubblica amministrazione.

Qualche giorno fa è finalmente partito il Servizio Ispezioni e Sanzioni dell’Agenzia: è un’ottima notizia. I fatti di questi giorni ci confermano che non possiamo fare a meno di Internet, è il posto dove trascorriamo una parte fondamentale delle nostre vite. La nostra casa digitale. Ma è ora di chiudere a chiave qualche porta.

 

Aggiungi ai preferiti : Permalink.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.