Daniele LoMonaco il Romanista 18 febbraio 2023
Chi osa un po’ di più almeno pareggia
Analisi di Salisburgo Roma. L’Europa League conferma: per fare risultato non ci si può accontentare. Ma la qualificazione resta alla portata
Quella di giovedì a Salisburgo è statala classica partita del sì, però… Perché la Roma ha tenuto il pallino del gioco però non ha concretizzato le occasioni che ha avuto; la Roma ha ben difeso, però si è fatta infilare proprio sul più bello; la Roma è sembrata più forte dei rivali in casa loro, però ora si trova nella scomoda posizione di dover rimontare una sconfitta; la Roma ha tirato più nello specchio della porta degli avversari, però nei tiri totali loro sono stati più efficaci; la Roma secondo gli expected goal avrebbe dovuto vincere la partita, però l’ha persa.
Sono queste, insomma, le partite su cui è più facile dividersi tra analisti, a seconda che si voglia considerare prevalente un aspetto oppure un altro. C’è un concetto di base su cui sono più o meno tutti d’accordo: con un pizzico in più di coraggio tattico quand’anche non si riesca a portare a casa la vittoria, si porta più facilmente a casa un pareggio. Ovviamente nel calcio le garanzie, soprattutto a livello teorico, non te le da nessuno. Cerchiamo di rendere meno teorica e più pratica, dunque, questa lunga premessa: che cosa avrebbero potuto fare di più Mourinho e i giocatori per evitare di perdere la gara?
La disattenzione di Matic
Partiamo dal presupposto che fare o prendere un gol a questi livelli può essere anche un evento casuale. Nello specifico, tanto per togliersi subito il dente, è chiaro a tutti come Matic nello sviluppo offensivo di Pavlovic abbia magari per stanchezza, o forse per pigrizia, ignorato l’inserimento di Capaldo determinando così plasticamente la sconfitta della Roma.
C’è poi una diversa responsabilità tattica che riguarda invece la squadra, e, conseguentemente, l’allenatore: perché in quei minuti finali la Roma ha abbassato troppo il proprio baricentro e lo schieramento con due mediani non dava più garanzie di impermeabilità (quando difendono bassi è più complicato coprire tutta l’area davanti alla difesa). Ma non è proprio sull’episodio specifico che si possono costruire valutazioni solide sull’efficacia o meno di un dispositivo difensivo odi un dispositivo offensivo. Serve altro.
Le giocate elementari
Ciò che nella serata della Roma non è piaciuto è il fatto che la manovra offensiva non sia stata appoggiata con convinzione.
Ci riferiamo ad esempio alle giocate sempre troppo elementari di centrocampisti e difensori quando invece ci sarebbero le condizioni per forzare uno sviluppo improvviso vedi la splendida occasione di Abraham nel primo tempo con l’illuminante palla trasversa di Cristante – per costruire qualcosa di importante che non dipenda sempre e solo dalle palle inattive (su cui, sia chiaro, è evidente il merito di Mourinho e di chi lavora sugli schemi a Trigoria ogni giorno) o sugli errori degli avversari in fase di transizione.
Troppe volte vediamo gli stessi Cristante e Matic, per non parlare dei tre centrali difensivi, limitarsi all’appoggio più immediato (e scontato) piuttosto che ricercare una linea di sviluppo meno banale e che faccia prendere qualche rischio in chi la cerca. Ne abbiamo contate diverse di manovre nel primo tempo che avrebbero potuto conoscere accelerazioni improvvise e che sono state invece ogni volta rallentate per scelte di comodo.
Su questo forse Mourinho potrebbe intensificare l’addestramento. Peraltro questa ricerca aumenterebbe inevitabilmente il tasso di aggressività offensiva della squadra e soprattutto nelle coppe, quando si gioca l’accesso al turno successivo in doppio confronto, è un espediente che può tornare molto utile. L’anno scorso, non a caso, la Roma ha costruito la sua vittoria nella Conference League proprio attraverso questa aggressività che la portava magari a gestire i risultati solo dopo il vantaggio e non già sullo 0-0.
Le uscite sull’esterno
Ci sono poi dei limiti strutturali nella costruzione della manovra a cui Mourinho fa spesso riferimento senza essere troppo esplicito. Finché la palla deve passare necessariamente sui piedi di cinque giocatori statici come i tre difensori e i due mediani diventa aleatorio pensare di poter competere in brillantezza con le squadre più à la page del continente, ma è vero pure che non ci si può nascondere sempre dietro questo alibi. L’inizio della manovra della Roma parte sempre atre, con Smalling più basso anche se nella prima impostazione a volte Mourinho chiede all’inglese di alzarsi in una posizione da play che però non gli si confà e che lui sembra proprio voler respingere con un linguaggio del corpo più esplicito di quella che può essere la disponibilità tattica.
La Roma si è trovata chiusa nello sviluppo soprattutto quando ha provato ad uscire sugli esterni, troppo bassi per impensierire gli avversari, forti in uscita con attaccanti e mezze ali. Meglio la Roma si è trovata quando è riuscita ad uscire per vie centrali e solo in un secondo momento ha raggiunto le corsie esterne dove, per caratteristiche tattiche, il Salisburgo faticava a tamponare, dovendo utilizzare per questo gli intermedi di centrocampo del 4132.
Le scelte insindacabili
E anche questa evidenza rappresenta una chiara risposta alla domanda che ci siamo già posti: come può essere più efficace la Roma senza perdere la solidità che la contraddistingue? Su questo bisogna poi fare una riflessione perché è indubbio che oggi giocare contro la Roma non sia facile per nessuno, e, per fortuna, al momento gli avversari che capitano sul suo cammino non sono proprio i mostri sacri del podio continentale.
Quando poi Mourinho fa riferimento alla stanchezza fisica e mentale dei suoi uomini non c’è più nulla da eccepire perché l’argomento è semplicemente inattaccabile soprattutto perché lo scarso utilizzo delle alternative deve restare una sua esclusiva prerogativa e nessuno dovrebbe sentirsi in diritto di esprimere diverse preferenze avendo un centesimo degli elementi a disposizione dell’allenatore per poter fare una corretta valutazione.
I tiri da lontano
Un altro aspetto che denota la solidità difensiva della Roma è proprio quello che riguarda i tiri da lontano a cui abbiamo già fatto cenno: basti pensare che la distanza media di tiro per i padroni di casa è stata di 21,6 metri mentre quella dei giallorossi è stata di 13,2. Nota a parte merita poi l’annotazione sul tempo effettivo di gioco: alla fine si è giocato per 52 minuti, quasi tre in meno della media ritenuta accettabile. Ma niente di scandaloso: alla Roma è capitato molto di peggio, soprattutto quando doveva rimontare.