Come continuare a crescere e capire dov’è l’errore nei bonus edilizi

Francesco Giavazzi  Corriere della Sera 5 marzo 2023
La fiducia che spinge la crescita
Nel biennio 2021-22 l’economia italiana è cresciuta, al netto dell’inflazione, del 10,5 per cento. È questa crescita straordinaria che spiega perché, nonostante un deficit pubblico molto elevato, il debito è sceso.

 

Sempre in rapporto al Pil di oltre 10 punti: dal 154,3 a circa il 145 per cento. Le domande rilevanti per chi guida la politica economica sono: una simile crescita può durare? Per quanto tempo, e quale sarebbe la sorte del debito se la crescita tornasse ai livelli pre-Covid, e cioè si fermasse?

Il recente dibattito sull’effetto dei bonus edilizi, e in particolare del bonus 110%, suggerisce che le agevolazioni che ne derivano e l’impulso al settore delle costruzioni, siano la ragione principale per l’elevata crescita. Si sarebbe quindi trattato di una crescita «drogata» e se così fosse, bloccando il bonus la crescita si fermerebbe. Analisi della Banca d’Italia, e più recentemente dell’Ufficio parlamentare di bilancio, mostrano che il contributo dei bonus edilizi spiega 1,4 dei 10,5 punti di crescita, una quota relativamente piccola. In altre parole, la crescita del 2021-22 non è dipesa, almeno non per la quota maggiore, da un «boom drogato» nelle costruzioni. Queste agevolazioni hanno altri effetti negativi, ma gli effetti sulla crescita sono trascurabili.

Si è trattato di una crescita diffusa in tutti i settori dell’economia, non solo nel settore dell’edilizia .
I dati Istat pubblicati la scorsa settimana mostrano ad esempio che la spesa per consumi di beni è aumentata, solo nel 2022, del 2,4%, quella per servizi dell’8,8%. Fra questi spese per alberghi e ristoranti (+26,3%), per ricreazione e cultura (+19,6%), per vestiario e calzature (+14,8%). Si registrano variazioni negative solo nelle spese per alimentari e per istruzione (-1,2%), mentre le esportazioni sono cresciute di oltre il 9%. Il totale degli investimenti fissi lordi è cresciuto del 9,4%.

D’altronde questi risultati sono coerenti con i dati sulla fiducia degli imprenditori. Un’analisi, sempre dell’Istat, volta a valutare l’ottimismo, o pessimismo, delle imprese, sulla base del livello degli ordini, delle scorte di magazzino e delle attese sul livello della produzione, mostra che la fiducia è migliorata del 20% circa fra l’inizio del 2021 e l’inizio del 2022, per poi perdere un 5% dopo l’invasione dell’Ucraina. Insomma, è il generale miglioramento del clima di fiducia contribuisce a spiegare molta della crescita dello scorso biennio, e soprattutto dello scorso anno, non un «boom drogato» delle costruzioni.

Non c’è dubbio che il clima di fiducia rifletta anche una politica di bilancio accomodante che ha aiutato famiglie e imprese soprattutto per far fronte all’aumento delle bollette: lo Stato nel 2022 ha speso circa il 3% del Pil per attenuare l’impatto delle bollette su famiglie, soprattutto quelle a basso reddito, e imprese. È stata una spesa fondamentale che ha consentito un aumento della crescita e quindi un debito inferiore.

Si deve insomma mantenere la fiducia delle imprese, per tenere basso lo spread e alti gli investimenti, e una politica di bilancio attenta a proteggere famiglie e imprese per quanto reso possibile dai nostri conti pubblici.

Si è molto discusso di quanto siano costati i bonus edilizi. Ma è una domanda a mio parere mal posta. Questi bonus sono una parte delle risorse che l’Italia, come altri Paesi, hanno dedicato alla transizione ecologica. Pochi o troppi è una scelta politica, che dipende dalla velocità alla quale si vuole attuare la transizione verso un’economia piu verde.

L’errore non è stato nello spendere queste risorse ma nel modo in cui sono state spese: trasformando, tramite il meccanismo delle cessioni, il beneficio fiscale da un flusso di detrazioni che avrebbero dovuto arrivare sull’arco di un decennio, in un assegno pronta cassa. Errore che il governo Draghi aveva identificato e corretto già nella legge finanziaria del 2022 poi modificata in Parlamento.

Il governo non deve allentare l’attenzione alla crescita, perché qualora essa rallentasse dovrebbe molto rapidamente correggere la strategia.

In particolare, ora che i prezzi dell’energia stanno scendendo è necessario vigilare affinché il minore prezzo del gas importato si traduca in bollette più basse per i consumatori, e non, come spesso accade, in extra-profitti per le aziende importatrici. Queste devono continuare ad essere tassate, come si è fatto nel 2022, e quel gettito restituito ai consumatori.

Inoltre, e non di secondaria importanza, il Pnrr; finora si sono svolti per lo più lavori preparatori, necessari affinché gli investimenti potessero partire. Il Pnrr vale più di 10 punti di Pil da spendere in quattro anni: è una spinta alla domanda che vale oltre due punti di Pil l’anno. Con queste premesse non crescere è quasi impossibile, ma se non vi fosse la capacità di usare simili risorse, l’arresto della crescita diventerebbe una certezza.

La crescita non è figlia di misure simbolo o di un unico provvedimento. È una bussola che deve orientare i governi a combinare politiche mirate allo sviluppo e al benessere del Paese.

 

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