Salvini vince il braccio di ferro con la Meloni

Francesco Olivo La Stampa 10 marzo 2023
Decreto migranti, la rivincita di Salvini: passano le richieste della Lega
Il leader leghista vince il braccio di ferro con l’alleata: dalla stretta sulla protezione speciale all’aumento dei controlli sulle cooperative


Il braccio di ferro è durato fino all’ultimo minuto e Matteo Salvini crede di averlo vinto. Il fatto che il decreto sui migranti sia stato un successo di Salvini lo raccontano molte cose a partire dal volto del ministro dei Trasporti, sollevato e soddisfatto quando riparte per Roma. Uscendo dalla sala del Consiglio comunale di Cutro il leader della Lega è convinto di aver ribaltato la narrazione che lo descrive come un comprimario nel governo. La conferenza stampa finale si è trasformata in una specie di processo a Giorgia Meloni, visibilmente in difficoltà davanti alle domande dei giornalisti, mentre Salvini si limitava a rivendicare i suoi successi del passato, «nel 2019 il numero di morti è stato il più basso di sempre». Un ribaltamento dei ruoli inaspettato.

C’è un punto che la Lega può rivendicare: questo provvedimento ricorda, per alcuni aspetti, i decreti sicurezza del governo gialloverde, quando dal Viminale il Carroccio vedeva crescere i suoi consensi, ora evaporati. E il suo successore al ministero dell’Interno Matteo Piantedosi, secondo via Bellerio, esce rafforzato, allontanando le voci di commissariamento da parte di Palazzo Chigi.

Prima di ripartire per Roma, dove Salvini festeggerà il suo cinquantesimo compleanno, il leader leghista mette in fila quelli che ritiene dei successi: è stato introdotto un intervento che stringe le maglie sui permessi concessi per la «protezione speciale sui migranti», ci sono leggi durissime contro gli scafisti, c’è lo snellimento delle procedure per costruire nuovi centri di permanenza per i rimpatri. C’è poi anche la cosiddetta norma «anti Soumahoro», che aumenta i controlli sulle cooperative che gestiscono i migranti, favorendo i commissariamenti. Il Carroccio evita di sottolineare altri aspetti del decreto, come l’aumento di migranti da regolarizzare con i prossimi decreti flussi.

Per giorni i dirigenti di Fratelli d’Italia, privatamente, ma anche in pubblico, negavano con decisione: «Non torneremo ai decreti sicurezza». Il muro a Palazzo Chigi sembrava insormontabile: il sottosegretario Alfredo Mantovano, raccogliendo anche le preoccupazioni del mondo cattolico, spiegava che non si poteva venire in questa terra di dolore con un decreto così duro con i migranti. Da FdI si denunciava poi il tentativo di ripristinarla per via parlamentare. Eppure questo provvedimento, per alcuni punti, lo ricorda da vicino. «Assomiglia più ai decreti sicurezza che al blocco navale di Meloni», ironizza con malizia un parlamentare leghista.

Ma la soddisfazione più grande per Salvini è che a sancire la sua vittoria sia stata proprio Giorgia Meloni, che nei giorni scorsi aveva cercato di porre un argine alla richiesta dell’alleato. Quando una cronista le chiede dei «decreti sicurezza», lei risponde: «Diverse delle proposte della Lega sono comprese in questo decreto». Seduto accanto a lei, Salvini non riesce a trattenere la gioia.

La trattativa per la Lega era stata durissima, la battaglia è durata fino a pochi minuti prima dello sbarco della comitiva di governo sulla pista dell’aeroporto di Crotone. La serata si era chiusa con un nulla di fatto, Palazzo Chigi aveva tentato di evitare un “preconsiglio”, la riunione con i capi di gabinetto che limano il testo, per evitare discussioni.

La Lega, però, si era opposta, temendo di trovarsi sul tavolo un provvedimento che non conosceva. I sospetti erano giustificati, nella riunione convocata per le prime ore del mattino a Roma, compare una bozza, che all’articolo 10 ha una norma – inserita dal ministro della Difesa Guido Crosetto e dal sottosegretario Alfredo Mantovano – che faceva passare il coordinamento della sorveglianza marittima in capo alla Difesa, una delegittimazione di Salvini (che ha la competenza sulla Guardia costiera) e del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Quando la bozza comincia a girare scoppia il caos: la Lega si mette pesantemente di traverso, ma anche dalla Guardia Costiera emerge una forte contrarietà («è in capo al mio ministero dal 1885, e io nemmeno ero nato», ironizza Salvini in conferenza stampa, strappando l’unico sorriso della serata alla premier).

Forza Italia si aggiunge alle critiche. Gli uffici giuridici dei ministeri, poi, fanno presente che questa norma potrebbe confliggere con il diritto europeo. È mezzogiorno, al consiglio dei ministri di Cutro mancano poco più di tre ore. Un fuoco di sbarramento troppo violento e Meloni decide di cancellare di netto l’articolo 10. L’aereo a quel punto può decollare, e i passeggeri, la premier, Salvini e l’altro vicepremier Antonio Tajani (che ha ricevuto la cittadinanza d’onore dal sindaco di Cutro) possono viaggiare più serenamente. In conferenza stampa Meloni spiegherà: «La vicenda della Marina militare è stata oggetto di una proposta del ministero della Difesa poi ritirata dal ministro Crosetto per due ragioni: perché il nostro sistema funziona e perché c’è un precedente non fortunatissimo sull’utilizzo della Marina che è quello di “Mare nostrum”. Il ministro Crosetto mi ha scritto e chiesto di espungerla dal provvedimento» .

L’altra offensiva leghista si consuma in Parlamento. Proprio mentre i ministri sono in viaggio verso Cutro, nella commissione affari costituzionali di Montecitorio va in scena il tentativo di riesumare con delle proposte di legge i decreti sicurezza. I leghisti hanno incardinato una proposta di legge che punta a reintrodurre la parte dei decreti sicurezza di Salvini, datati 2018, con l’obiettivo di restringere le maglie dei permessi speciali per il soggiorno agli extra-comunitari in Italia. Quando in serata Meloni annuncia che di fatto questa norma è contenuta nel decreto, il capogruppo Riccardo Molinari esulta: «Se è così meglio ancora»

 

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