Renzi si dimette, ma la mossa riesce a metà

Cento passi separano a Roma la sede del Pd dagli uffici della Fininvest. E in quei cento passi Lotti avrà ripercorso i mille giorni del renzismo, dai fasti del patto del Nazareno alla sua passeggiata solitaria verso l’altra sponda del Nazareno.  

Tre giorni fa, in quel luogo dell’anima che ha segnato una fase della storia politica italiana, non era più Berlusconi a recarsi da Renzi. Tre anni dopo, è stato il braccio destro di Renzi a recarsi da Gianni Letta, magari per sapere quale fosse la linea di Berlusconi, e per tentare di capire se davvero avesse stretto accordi con gli avversari interni del suo amico e segretario democrat. Non è dato sapere se e in che modo l’uomo delle mille mediazioni per il Cavaliere abbia riportato le volontà del leader di Forza Italia, è certo che Berlusconi — prima del referendum— si diceva pronto se del caso a un cambio di cavallo: «Sulla legge elettorale siamo pronti a trattare con il Pd. Con Renzi o con chi verrà dopo Renzi».

Temperamento o arroganza?

La politica è spietata, la politica è rapporti di forza. E per quanto giovane, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ne conosce le regole. L’hanno visto sconsolato, l’altra sera, camminare per piazza della Signoria a Firenze, con il figlioletto a mitigare la sofferenza. Perché Lotti — che intreccia con il premier dimissionario il rapporto personale e quello professionale — ha sofferto più di tutti l’esito del voto, e fatica a metabolizzare la sconfitta: «Non siamo stati capiti». E l’angoscia va oltre la perdita del potere, che in questi tre anni ha pure gestito: con «temperamento» secondo i fedelissimi, con «arroganza» secondo i suoi critici. Lotti è stato l’uomo del «me la vedo io», «aggiusto io», e soprattutto del «con Matteo ci parlo io». In un sistema di check and balance si è occupato dei servizi nonostante quel ruolo sia di Minniti, si è interessato di infrastrutture nonostante lì ci sia Delrio, ha disbrigato nel partito nonostante lì ci sia Guerini, e si è occupato di banche perché ritiene che lì non c’è nessuno. Se resterà a palazzo Chigi senza Renzi, è perché di Renzi rappresenta l’essenza. Il leader, che voleva occuparsi di tutto, non riuscendoci si era fatto trino: a Lotti aveva affidato la gestione degli affari di governo, alla Boschi il ruolo di ambasciatrice del governo. Ruolo che lascerà, come aveva già deciso, perché le riforme a cui si era dedicata non ci sono più. E non c’è più nemmeno il governo.

Implosione (per ora) evitata

All’indomani del voto referendario, mentre Lotti spingeva per «ripartire dal 40%», lei aveva chiaramente capito ciò che Casini le avrebbe ribadito: «CaraMaria Elena, dovete scegliere quale boccone amaro mandare giù. Riprendervi l’incarico o indicare a Mattarella il nome di un altro presidente del Consiglio. Tre mesi lì, come se niente fosse, Matteo non può restarci». Mille giorni e cento passi dopo, Lotti si è rassegnato all’idea che Renzi avrebbe dovuto scegliere il danno minore: lasciare palazzo Chigi a Gentiloni, con la consapevolezza che si aprirà una fase difficile nel partito. Perché sarà pur vero che nel Pd ci sono molti politici e nessun leader, ma sono proprio la loro capacità di manovra e la vischiosità del correntismo il maggior pericolo per il segretario che da lunedì non sarà più premier. Il compromesso ha evitato (per ora) l’implosione del Pd, «perché — come spiegava mercoledì il Guardasigilli Orlando ad alcuni compagni — anche solo l’impressione di consumare un complotto contro Renzi, decreterebbe la morte del partito agli occhi del nostro elettorato. Torneremmo a percentuali dei tempi in cui c’erano i Ds, senza più nemmeno la Margherita come alleato». Ma il compromesso sarà l’arte che il segretario applicherà nella quotidianità? Starà solo a lui gestire la trattativa sulla legge elettorale, sulle alleanze elettorali e sulle liste elettorali? E quanti di questi nodi sono già oggetto della mediazione interna che segnano la tregua nel Pd? «Con Renzi o con chi gli succederà», diceva Berlusconi, che si prepara a impostare la trattativa con Renzi ma anche con i suoi avversari. Cento passi dopo, Lotti ha capito cos’è diventato il Nazareno

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