Le offerte di Draghi espongono i 5 stelle alla manovra strumentale

Stefano Folli La Repubblica 13 luglio 2022
Conte, l’occasione di evitare la crisi
Dopo la giornata di ieri, con le parole di Draghi e l’annuncio ai sindacati di un programma contro il carovita e i bassi salari, la strada in salita davanti a Giuseppe Conte, già impegnativa, si è fatta proibitiva.

 

Tutto può accadere, s’intende, quando si perde il bandolo della matassa. E l’ex premier, al di là dei suoi errori, trasmette l’idea di essere intrappolato in un gioco troppo ambizioso, per cui si trova sballottato di qui e di là da eventi che non riesce a padroneggiare. Ma un punto è ormai chiaro a lui e a tutti: è illusorio credere di uscire dall’angolo attraverso il gioco di prestigio che i 5S stanno tentando da giorni. Vale a dire, sfilarsi dalla maggioranza attraverso la tattica delle astensioni, delle uscite dall’aula, delle assenze. Tutto per evitare di contaminarsi con le misure di Draghi, recuperare un qualche ruolo di opposizione e da quella trincea bombardare Palazzo Chigi nei mesi a venire.
È un’operazione un po’ troppo infantile per avere probabilità di successo. Infatti Draghi ha detto che non intende governare senza il gruppo di Conte. E questo, si suppone, non per stima verso il suo predecessore, bensì per una questione di equilibri. Una maggioranza d’emergenza e di quasi unità nazionale fatica a cambiare il suo perimetro e la natura in corso d’opera. Senza i “contiani” s’innescherebbe un pericoloso domino. Il Pd di Letta, finora grande sostenitore di Draghi, rischierebbe d’essere invischiato in una coalizione in cui predominante diventa il centrodestra Salvini-Berlusconi. A sua volta il leghista sarebbe a disagio dovendo sostenere il governo mentre il populismo “contiano” batte le piazze e si sforza di tentare – chissà – qualche segmento dell’elettorato salviniano. Di qui altri strappi prevedibili.

In altre parole, è vero che la maggioranza esiste sul piano numerico anche senza i 5S (il gruppo scissionista di Di Maio è acquisito). Ma non c’è da stupirsi se il presidente del Consiglio è perplesso e teme la guerriglia parlamentare applicata a un governo che sarebbe di fatto un Draghi-bis: esposto alle disavventure attraverso cui in passato sono passati gli esecutivi sopravvissuti senza slancio a crisi risolte con qualche ritocco. Ecco allora che la “mano tesa” a Conte, che molti hanno voluto vedere nell’intervento del premier, lo è solo a metà. Draghi ha sottolineato ciò che appare ovvio a chiunque sia in buona fede: le richieste dei 5S stanno trovando risposta nei provvedimenti del governo, nei miliardi già stanziati, nei temi sociali discussi coi sindacati, nella consapevolezza che l’autunno sarà drammatico. Quindi è come se il presidente del Consiglio avesse detto all’avvocato: cosa aspetti a intestarti queste misure? È un’occasione d’oro per chiudere la partita cantando vittoria.

Ma esiste la buona fede? Ovvero ci sono – come molti sospettano – forze più grandi e opache che hanno deciso di far inciampare Draghi, costi quel che costi? Nessuno al momento ha una risposta a tali dubbi, benché sia evidente che la crisi italiana è seguita con attenzione all’estero e soprattutto a Mosca. Anche per questo è opportuno, avverte Draghi, che la maggioranza, se esiste, rinunci alle sue ambiguità. Come dire che il premier ha richiamato con fermezza i 5S al buon senso e alla responsabilità. Il resto spetta a Mattarella. I margini del capo dello Stato sono ampi e il Parlamento è il luogo più adatto per capire se questa legislatura ha ancora una ragion d’essere.

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