L’industria europea nelle mani di Biden: così il potere si sposta verso l’America

Federico Fubini Corriere della Sera 24 ottobre 2022
L’industria europea nelle mani di Biden: così il potere si sposta verso l’America
Non mi ero reso conto fino in fondo di cosa stesse accadendo con il progredire dei mesi di questa terribile guerra in Ucraina. Razionalmente lo sapevo, ma non avevo tirato tutte le somme. Forse non sono stato il solo, in Italia e in Europa.

Ma ora i fatti sono lì, davanti a noi: erano decenni che noi europei siamo più stati tanto nelle mani degli Stati Uniti sul piano militare, industriale, strategico. E questa debolezza europea – se si protrae – è in grado di ribaltare le narrazioni degli ultimi vent’anni. Potrebbe non essere più l’Estremo Oriente a erodere la base industriale dell’Italia e dell’Europa. Quel ruolo potrebbe passare all’Estremo Occidente: l’America.

Cerco di spiegarmi e scusate (o ringraziatemi) se sarò meno prolisso e dettagliato del solito, ma l’avvento del nuovo governo ha invaso molti spazi di recente. Quello che vedete qui sopra naturalmente è Joe Biden, ritratto il 9 settembre quando il presidente americano ha visitato Licking County, Ohio, dove Intel farà sorgere una fabbrica di semiconduttori. Un conoscente di Taiwan, che produce il 90% dei semiconduttori più avanzati al mondo con la Tsmc, dice sono nel 21esimo secolo quel che erano gli schiavi nell’antichità: fanno gran parte del lavoro e la maggiore potenza è quella che ne controlla di più.

Chip e non solo: le industrie e i sussidi in America

Biden lo sa: il suo Chips and Science Act dell’agosto scorso mette 50 miliardi di dollari di sussidi diretti a disposizione delle imprese private americane – Intel, Qualcomm, Micron, GlobalFoundries – per sviluppare semiconduttori sul suolo degli Stati Uniti. Uno degli obiettivi è liberare l’economia americana dalla sua dipendenza nei confronti di Taiwan, se o quando Pechino sferrerà il suo attacco all’isola. Ma non è questo il solo settore industriale che Biden sta sussidiando fortissimamente. Dall’informatica quantistica, alle biotecnologie, all’idrogeno, alla produzione di pannelli solari e altre tecnologie per l’energia rinnovabili, la Casa Bianca è già impegnata a finanziare a fondo perduto la sua industria di frontiera per 100 miliardi di dollari all’anno per i prossimi cinque anni.

Il business della guerra

Ad essi si aggiungono 40 miliardi stanziati per l’Ucraina, che servono in gran parte a passare ordini all’industria della difesa americana perché il Pentagono possa continuare a sostenere Kiev. Un ministro europeo (non italiano) stimava di recente che il livello medio di sussidi industriali negli Stati Uniti è talmente superiore a quello prevalente in Europa, che per un’impresa i conti sono presto fatti: se investe in America, anziché da questa parte dell’Oceano, riceve dal governo sostegni quattro volte superiori. Non ho idea se questa stima sia corretta. So però che negli Stati Uniti il prezzo del gas era otto volte più basso che in Europa alla fine di agosto scorso ed è di sei volte più basso oggi (secondo i calcoli di Simone Tagliapietra del centri studi Bruegel). Ciò mette ancora una volta l’industria europea in una posizione di debolezza in tutti i settori a maggiore intensità energetica più importanti per un’economia: acciaio, cemento, chimica, industria della difesa fra gli altri.

Perché l’Europa paga il gas più caro dell’America

Che noi europei paghiamo il gas più degli americani, in gran parte, è normale. Loro lo producono e lo trasportato ai loro siti industriali tramite gasdotto. Noi non vogliamo produrlo. Per la precisione, non vogliamo nuove prospezioni in Italia, non vogliamo estrazioni dal vasto giacimento di Groningen in Olanda, non vogliamo estrarre il gas di scisto (o shale gas) da nessuna parte in Europa, per motivi ambientali, ma vogliamo acquistare quello prodotto nello stesso modo negli Stati Uniti. Dunque la materia prima dell’industria pesante arriva e sempre più arriverà in Europa – congelata, da rigassificare – dopo 18 giorni di navigazione dal Golfo del Messico. Naturale dunque che ci costi di più, a maggior ragione perché non ci siamo neppure dotati delle infrastrutture adatte per fare circolare questo gas americano in Europa.

La fila delle navi cisterna davanti ai porti d’Europa

Per esempio solo il 17 ottobre scorso c’erano attorno alle coste europee (Portogallo, Spagna, Francia, Italia) almeno 35 tanker carichi di gas liquefatto di origine americana fermi: nel pieno della maggiore crisi da carenza di metano della nostra storia, non sapevano dove scaricare. Alcuni di questi avranno cambiato destinazione e saranno finiti in Asia. La Spagna del resto avrebbe le infrastrutture per la rigassificazione, ma la Francia le ha negato le connessioni via gasdotto per rifornire il resto d’Europa. L’Italia ha le connessioni, ma non ha abbastanza rigassificatori. Cosa può produrre una situazione così squilibrata?

Il ruolo dell’Europa e il potere di Biden

In passato, quando io ero un cronista a Bruxelles, sussidi così pesanti degli americani alla loro industria più avanzata avrebbero innescato un ricorso di Bruxelles contro Washington all’Organizzazione mondiale del commercio. Oggi non possiamo permettercelo, perché dipendiamo dalla benevolenza dell’America. Senza la difesa statunitense oggi l’armata russa forse minaccerebbe già Varsavia o almeno Vilnius, Riga e Tallinn. È Biden che sta garantendo l’integrità geopolitica dell’Europa, dunque non possiamo protestare.

L’aiuto militare statunitense all’Ucraina vale 28 miliardi di euro (o lo 0,13% del Pil americano). L’aiuto militare italiano vale 150 milioni: 180 volte di meno in valore assoluto e 16 volte di meno come quota del Pil del nostro Paese. Per le altre “potenze” europee le proporzioni sono simili.

Dunque dobbiamo tacere, perché non vogliamo dotarci di una nostra credibile capacità di difesa. A maggior ragione dobbiamo tacere perché abbiamo e avremo sempre più bisogno del gas liquido americano, a caro prezzo, prodotto con tecnologie che noi ci rifiutiamo di utilizzare sui nostri territori. Tutto questo mette l’Europa in una stato di inferiorità strategica, competitiva e industriale con pochi precedenti recenti. Rischiamo una deindustrializzazione a favore dell’alleato atlantico, a causa dei nostri stessi errori. Eppure non ne stiamo parlando.

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