Andrea Fabozzi il Manifesto 28 dicembre 2022
Serve la ghigliottina per punire i rave party
Il decreto sta per scadere. Il presidente Fontana dovrà richiamare il precedente della presidente Boldrini del 2014 con cui si tronca la discussione (anche se è previsto solo al senato). Altrimenti l’ostruzionismo potrebbe affossare il primo atto del governo perché non basta la fiducia
Servirà la «ghigliottina», l’ultima carta del presidente della camera, quella che consente di interrompere la discussione e andare subito al voto, per convertire in tempo il primo decreto legge del governo Meloni. È il decreto cosiddetto «rave», che in realtà oltre alla stretta penale contro i raduni musicali contiene il rinvio della riforma penale Cartabia (rinvio che nel frattempo sta per scadere), le nuove norme sull’ergastolo ostativo e alcune misure che strizzano l’occhio ai no vax come il rientro al lavoro anticipato dei medici senza vaccinazione Covid. Il decreto scade il 30 dicembre e le opposizioni, per una volta tutte d’accordo, avrebbero gli strumenti per fermarlo alla camera fino a quella data. Ma il presidente dell’assemblea di Montecitorio, Lorenzo Fontana, può richiamare il precedente della presidente Laura Boldrini, che nel febbraio 2014 impose lo stop alla discussione e il voto immediato sul decreto Imu-Bankitalia. È l’ultima carta che resta da giocare per evitare al governo Meloni un primo buco nell’acqua, proprio con il primo decreto.
Molto criticato dal primo giorno in cui uscì a sorpresa dal Consiglio dei ministri, il «decreto rave» è stato poi modificato dalla maggioranza al senato proprio sul punto delle divieto penale alle manifestazioni musicali non autorizzate. La norma nel codice è rimasta, utile solo per poter intercettare e indagare i promotori dei rave, più difficilmente per condannarli. «Serve a dare un segnale», disse allora il ministro della giustizia Nordio, in evidente imbarazzo rispetto al suo dichiarato garantismo. Servirà soprattutto come strumento di pressione e controllo. Mentre sull’ergastolo ostativo, dovendo rispondere alla Corte costituzionale che ha giudicato l’esclusione automatica dai benefici carcerari di chi non collabora incompatibile con la funzione rieducativa della pena, il governo ha adottato lo stesso testo approvato nella scorsa legislatura come compromesso tra M5S, Lega e Pd. Peggiorandolo ulteriormente.
Ieri alla camera, di fronte a 98 iscritti a parlare in discussione generale, la maggioranza ha già sparato due cartucce. Prima ha chiesto e ottenuto, con un voto, la chiusura anticipata del dibattito. Poi il ministro per i rapporti con il parlamento Ciriani ha posto la questione di fiducia. Un’altra, oltre a quella che si è già votata sullo stesso provvedimento al senato, quella del 24 dicembre alla camera sulla manovra e quella che arriverà in senato sempre sulla manovra. Oggi alle 17:30 (trascorse 24 ore dalla richiesta) alla camera si voterà dunque la fiducia al governo sul decreto rave. Ma il regolamento di Montecitorio – non riformato nella scorsa legislatura, tra gli altri proprio su questo punto – prevede anche un voto successivo nel merito del provvedimento.
Con conseguente possibilità di tutti i deputati dell’opposizione di intervenire per dichiarazione di voto, ognuno per 10 minuti. E prima ci sono gli interventi sugli ordini del giorno, sui quali pure è possibile intervenire. Dunque Fontana, già stasera o più probabilmente domani, richiamerà il precedente Boldrini, che tra mille polemiche applicò per la prima volta all’aula di Montecitorio una norma che in realtà è presente solo nel regolamento del senato e che serve a garantire comunque un voto sui decreti legge, quando mancano poche ore alla scadenza. Nella scadenza va calcolato anche il tempo necessario al Quirinale per firmare e promulgare la legge.
La differenza è che nel 2014 la decisione di Boldrini non arrivò del tutto a freddo, ma dopo diversi giorni di ostruzionismo in aula contro il decreto Imu. Con i 5 Stelle saliti sui tetti del Palazzo e tumulti in aula tanto gravi da comportare la sospensione di 25 deputati. All’epoca Meloni e il suo partito erano dalla parte degli oppositori (erano gli ultimi giorni del governo Letta, i primi di quello Renzi) e l’attuale presidente del Consiglio era attivissima nel denunciare la dittatura della maggioranza. «Faremo tutto quello che è nelle possibilità previste dal regolamento per far decadere il decreto», promettevano ieri sera dal gruppo del Pd, al termine di una riunione. Poi però scatterà la ghigliottina.