I paletti di Mattarella sulle riforme

Stefano Cappellini La Repubblica 2 gennaio 2023
I paletti di Mattarella sulle riforme
Nel discorso di fine anno il capo dello Stato ha richiamato alla bussola della Costituzione

 

 

I messaggi di Sergio Mattarella sono sempre affilatissimi. Anche quando a un uditore superficiale paiono limitarsi a una parata di concetti istituzionali, contengono sempre un aggancio concreto al dibattito pubblico e un indirizzo politico teso sempre all’interesse generale. Nel caso del discorso di Capodanno, il primo della seconda serie di Mattarella al Quirinale, l’incipit dedicato alla politica ha, in meno di un paio di minuti, illuminato una questione fondamentale: le regole del gioco e il loro naturale fondamento, la Costituzione.

Mattarella ne ha parlato subito dopo aver espresso soddisfazione per la svolta della prima donna presidente del Consiglio e per l’inedito di elezioni in autunno che non hanno prodotto danni grazie al “risultato chiaro” uscito dalle urne e al varo di un governo in tempi molto rapidi. Mattarella ha così ricordato che c’è un governo pienamente legittimato e che gode anche della spinta di una inedita guida femminile. Cosa può fare questo governo? Tutto quello che riesce a fare, naturalmente. Tutto quello che sopravvive al passaggio dai programmi, o dalla propaganda, alla realtà.

Non è un salto da poco e Mattarella, nel ricordare che nell’arco di pochi anni tutte le forze parlamentari si sono sperimentate come maggioranza di governo, ha voluto esprimere con chiarezza cosa significhi passare dalla facile collocazione all’opposizione al fardello di guidare davvero: «Riconoscere la complessità, esercitare la responsabilità delle scelte, confrontarsi con i limiti imposti da una realtà sempre più caratterizzata da fenomeni globali». In pratica, la descrizione della transizione dalla pubertà al bar al lavoro adulto.

Ma c’è un secondo modo di rispondere alla domanda: cosa può fare questo governo? Tutto quello che è previsto dalla Costituzione. Qui Mattarella è stato lapidario. Ha parlato di «rispetto della dialettica tra maggioranza e opposizione, che induce a una comune visione del nostro sistema democratico, al rispetto di regole che non possono essere disattese, del ruolo di ciascuno nella vita politica della Repubblica. Questo corrisponde allo spirito della Costituzione». E ha concluso: «La Costituzione è la nostra bussola». Se qualcuno pensa che a Mattarella prema ricordare il valore della Costituzione per obbligo sindacale conosce poco Mattarella, ed è una colpa, avendo avuto un settennato per capire che non spreca mai una parola.

La Costituzione, di cui proprio ieri cadeva il settantacinquesimo anniversario dall’entrata in vigore, è la bussola di tutti perché è stata scritta da un arco larghissimo di forze politiche e culturali, come patrimonio di valori condiviso dopo la devastazione della guerra e del fascismo. Non ha contributo a scriverla solo chi rimpiangeva o rivoleva il regime mussoliniano, come il Movimento sociale italiano il cui anniversario di fondazione è stato appena celebrato dal presidente del Senato Ignazio La Russa, la cui elezione è comunque servita a ricordarci quale baratro può intercorrere tra due numeri cardinali, la prima e la seconda carica dello Stato, e che la matematica talvolta può essere un’opinione. La scrittura collettiva delle regole del gioco ha garantito all’Italia di attraversare tre quarti di secolo di democrazia, superando prove difficilissime senza tornare indietro.

Una lezione, la condivisione delle regole, che Giorgia Meloni dovrebbe tenere bene a mente. Nessuno le rimprovera le sue simpatie presidenzialiste, ribadite nella conferenza stampa di fine anno. Erano già patrimonio del Msi, del resto. Ed è legittimo che da premier coltivi il disegno di una grande riforma della forma di governo, e dunque di un cambio della Costituzione. Quello che torna meno, rispetto alle parole di Mattarella sul ruolo della Carta, è l’idea già minacciata di andare avanti a dispetto delle opinioni del Parlamento e dell’opposizione. Il presidenzialismo non è il decreto rave. Non è una bandierina che si può appuntare sul Paese con il consenso di un paio di partiti contadini. Una Costituzione scritta così non sarebbe una bussola per nessuno e la nave, a dispetto della retorica nazionalista di Meloni, non andrebbe lontano.

 

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