Meloni, se la costruzione del nemico non funziona con il caro-benzina

Stefano Cappellini La Repubblica 14 gennaio 2023
Meloni, se la costruzione del nemico non funziona con il caro-benzina
Ue, banche o speculazione: la leader di FdI ha sempre cercato di additare un responsabile all’opinione pubblica. Ora, nelle vesti di premier, lo schema è più difficile da attuare. Complice anche il fuoco amico degli alleati

 

A Giorgia Meloni non è mai mancata la capacità di costruire nemici da additare all’opinione pubblica come responsabili di ingiustizie e problemi: la tiranna Bruxelles, la perfida Parigi, banche e banchieri, il finanziere Soros, bau bau per eccellenza quando c’è da evocare lo spettro della demo-plutocrazia, persino il fantomatico “piano Kalergi”, l’idea cioè che i fenomeni migratori di massa siano alimentati da poteri occulti in nome della “sostituzione etnica” e del “mondialismo” che vuole abolire confini e culture soppiantando l’Europa cristiana con l’Eurabia (è la crasi di Europa e Arabia, va forte da anni sulla pubblicistica sovranista). Nemici possenti quanto generici persino se evocati per nome e cognome, credibili per fama e strampalati nella sostanza, che permettono di creare consenso e insieme sospendere la soluzione concreta dei problemi: come si combatte la Spectre? E che importa come, in fondo? Non è già così eroico denunciarne l’esistenza?

La costruzione del nemico si è fatta più difficile ora che Meloni deve farla da Palazzo Chigi. Stavolta uno dei nemici astratti del dizionario meloniano, “la speculazione”, evocata per giustificare l’aumento del carburante causa promesso e rimangiato taglio delle accise, è sparita rapidamente di scena. Per la prima volta la presidente del Consiglio ha sperimentato fino in fondo non solo la spericolatezza di praticare l’arte del depistaggio da una posizione di comando e responsabilità, anziché dalla comoda platea dell’opposizione, ma anche la difficoltà di farlo sotto il fuoco amico degli alleati: da Forza Italia, e in parte dalla Lega, è mancata copertura al giochino di Meloni sui carburanti. Tanto che il suo dietrofront è stato drastico, e si vedrà dai sondaggi dei prossimi giorni se sarà anche il primo incidere in negativo sul consenso fin qui cresciuto soprattutto a scapito di quello delle altre forze del centrodestra. In altre occasioni la retromarcia era infatti stata indolore sul piano elettorale, sebbene non su quello della credibilità e autorevolezza internazionale, terreno sul quale Meloni forse sottovaluta il rischio di dover pagare più avanti, e tutto in una volta, un conto salato.

Anzi, quei dietrofront erano comunque serviti a Meloni a piazzare le sue bandierine secondo uno schema ben collaudato di propaganda in tre tappe: problema, proposta di soluzione populista, marcia indietro. È accaduto sui limiti nell’utilizzo del Pos, è accaduto nello scontro sui migranti con la Francia, sta accadendo sulla ratifica del Mes. Temi sui quali Meloni ha dovuto ripiegare e che però le sono serviti a lanciare i suoi semi nel dibattito pubblico. Più complicato pensare di sfangarla quando al dibattito di opinioni si sostituisce l’effetto pratico del salasso che gli automobilisti sperimentano al distributore dall’inizio del 2023 e per responsabilità diretta del governo.

Meloni conosce qual è il potere della comunicazione virale in Rete, sa quanto i meme sul suo celebre comizio identitario a piazza San Giovanni nell’ottobre del 2019 (“Sono Giorgia, sono una donna, eccetera”) hanno contribuito alla crescita della sua popolarità e alla costruzione del personaggio (“Quel curioso connubio tra comizio e musica da discoteca, con tanto di balletto montato ad arte, spiccò il volo nelle visualizzazioni rendendomi popolarissima, soprattutto tra i nati dopo il 2000”, ha scritto nella sua autobiografia). Ecco perché quando la presidente del Consiglio ha visto con quale successo circolava il suo video del 2019 nel quale, fingendo di fare benzina, si scagliava contro il peso delle accise, ha capito che non sarebbe bastato il solito paravento per scansare il colpo. Il resto lo ha fatto, appunto, il fuoco amico nella maggioranza, che l’ha costretta a cambiare strategia.

Archiviata la speculazione, è arrivata l’idea di dedicare una puntata del diario di Giorgia al caro-benzina, nel tentativo di spiegare che la sforbiciata alle accise è saltata non per tradimento delle promesse elettorali bensì per lucida scelta di bilancio. Ma a Meloni è chiaro che nemmeno il video è bastato a mettere una toppa sufficiente. I due euro alla pompa restano un bernoccolo che non si spiana con un comizio.

La scelta di reagire alla difficoltà con un caminetto di guerra con i vertici del suo partito, fissato per l’inizio della settimana prossima, è un’arma a doppio taglio. Segnala la volontà di reagire e, al contempo, la difficoltà di trovare soluzioni che non passino come al solito dalla messa in scena dell’assedio. In più, accresce lo strappo nella coalizione di governo e il rischio, concreto, di dover aggiungere i propri alleati nella galleria dei nemici del popolo.

 

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