Nikki Haley, l’anti-Trump pronta alla sfidare

 

Francesco Semprini Corriere della Sera 3 febbraio 2023
Nikki Haley, l’anti-Trump pronta a sfidare il tycoon per la candidatura
L’ex ambasciatrice Usa all’Onu: «Darò un annuncio il 15 febbraio, il partito ha bisogno di novità». Figlia di immigrati sikh, potrebbe battere Kamala Harris nel 2024

L’ex ambasciatrice Usa all’Onu ed ex governatrice della Carolina del Sud, Nikki Haley, durante un comizio

 

Era un mercoledì quando Nikki Haley annunciò la proposta avanzata da Donald Trump di entrare nell’amministrazione che il tycoon si stava accingendo a formare dopo la cavalcata elettorale di Usa 2016. «Quando il presidente crede che tu possa dare un contributo al benessere della tua nazione e al rispetto del tuo Paese nel mondo, il suo invito non può essere rifiutato», disse Haley, già governatrice della Carolina del Sud quel 23 novembre sette anni fa con toni da chiamata alle armi. Accettò e divenne ambasciatrice presso le Nazioni Unite, ruolo equiparato a quello di ministro.

Sarà un mercoledì anche il 15 febbraio quando la stessa Haley farà un annuncio, non uno qualsiasi come credono in tanti, ma la candidatura alle presidenziali di Usa 2024. «Io e la mia famiglia abbiamo un grande annuncio da condividere con voi il 15 febbraio! E sì, sarà sicuramente un grande giorno in South Carolina! Assicurati di esserci», scrive la repubblicana di ferro su Twitter allegando il link a un invito al centro congressi di Charleston. Per molti non ci sono dubbi, anche perché la sua candidatura era nell’aria nonostante nel 2021 avesse detto che non si sarebbe candidata alle presidenziali contro Trump. Ora pare aver cambiato rotta: «Molto è cambiato», ha risposto riferendosi, tra le altre cose, ai problemi economici del Paese, e precisando che sente di poter far parte di un necessario «cambio generazionale».

Del resto tra quel mercoledì di autunno del 2016 e questo fissato per l’annuncio ne ha fatta di strada Haley trasformata in star del partito proprio dal 45esimo presidente Usa. Se vincesse la nomination, sarebbe la prima donna e la prima candidata non bianca del Grand Old Party. Una corsa ventilata da tempo, alimentata da un paio di libri, un classico degli aspiranti candidati alla Casa Bianca, e da allusioni in varie interviste, dove ha rivendicato i meriti della sua carriera e suggerito di poter incarnare «la nuova leadership di cui il partito ha bisogno».

Nei giorni scorsi era stato lo stesso Trump a rivelare che Haley l’aveva chiamato per informarlo che stava valutando la candidatura e che lui le aveva detto di farlo, di «seguire il cuore», pur ricordando velenosamente che aveva promesso di non correre se lui si fosse ripresentato. Per ora l’ex ambasciatrice all’Onu viaggia intorno al 3% nei sondaggi ma si vanta di non aver mai perso una sfida e può contare sul trampolino di lancio della Carolina del Sud, Stato in cui resta popolare e che sarà la terza tappa delle primarie repubblicane. Non a caso la sua candidatura arriva all’indomani del comizio proprio nel Palmetto State con cui Trump ha inaugurato la campagna elettorale.

La 51enne Nikki Randhawa – coniugata Haley è figlia di immigrati di origine Sikh, provenienti dal Punjab, in India. Due volte deputata locale e due volte governatrice (dal 2010 al 2017) del South Carolina (prima donna dello Stato e prima appartenente a una minoranza etnica) è stata la governatrice più giovane degli Usa. Sebbene figlia di immigrati le sue posizioni in tema di accoglienza sono state sempre molto selettive, comprese le sue istanze sui rifugiati siriani.

Fattore questo che ha reso ancora più complesso il suo operato all’interno dell’Onu. Si fece notare nel 2016 quando fu scelta per la replica del Grand Old Party all’ultimo discorso sullo Stato dell’Unione di Barack Obama, privilegio riservato generalmente agli astri nascenti del partito. Poi nel gennaio 2017 la nomina come ambasciatrice all’Onu, carica da cui si dimise due anni dopo mentre maturava silenziosamente mire presidenziali.

Haley ha una sua credibilità nel partito, anche per il suo approccio più moderato e a volte coraggioso su questioni come razza e genere, come quando nel 2015 rimosse la bandiera confederata (considerata razzista) dal Campidoglio statale dopo l’attacco del suprematista bianco Dylann Roof contro nove fedeli afroamericani. Ma i suoi detrattori la considerano troppo volubile: nel 2016 puntò prima su Marco Rubio e poi su Ted Cruz, quindi sostenne Trump, salvo attaccarlo per il «Muslim ban»; poi lo ha criticato per le accuse di brogli e l’assalto a Capitol Hill, ma nel 2022 ha appoggiato vari candidati trumpiani «negazionisti».

E non è escluso che, in caso di sconfitta, accetti il ticket col tycoon (che ha annunciato la discesa in campo il 15 novembre scorso), contrapponendo una donna (autorevole) ad un presidente che ne ha già una come vice, Kamala Harris, che ad Haley è accomunata dalle origini indiane. Il tutto in una corsa che si preannuncia assai affollata a destra.

Ai nastri di partenza, oltre ad Haley c’è l’ex vicepresidente Mike Pence e l’ex segretario di Stato Mike Pompeo, nonché diversi governatori. In primis quello della Florida Ron DeSantis, il rivale più insidioso, che ha appena inaugurato la nuova crociata contro il «conformismo ideologico» delle università e ha lanciato il guanto di sfida a Trump ricordandogli che lui è stato rieletto nel Sunshine State con uno scarto record di 19 punti. Occorre capire se il governatore riuscirà a replicare su scala nazionale il successo registrato su quella statale.

 

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