Lombardia e Lazio incognite per due. Il voto di domenica

Stefano Folli La Repubblica 10 febbraio 2023
Lombardia e Lazio incognite per due
Domenica e lunedì si vota in Lombardia e nel Lazio in una strana atmosfera. Per ragioni diverse ma connesse fra loro. In primo luogo ci sono gli interrogativi non tanto sul risultato, quanto sull’affluenza.

Si pensa che l’astensione sarà persino più alta del solito, segno di una disaffezione cresciuta negli anni e che mai come stavolta potrebbe riguardare soprattutto la sinistra.

O per meglio dire il Partito Democratico, che arriva all’appuntamento con gli elettori nel pieno di un confronto interno abbastanza incomprensibile nelle dinamiche da cui dovrebbe scaturire il nuovo gruppo dirigente.

Vero è che negli ultimi giorni i sondaggi segnalano un minimo recupero delle percentuali di consenso del Pd, tuttavia la sigla resta alle spalle dei 5S, il partito contiano che non dice molto, ma lo dice con quotidiana perseveranza. Ed evidentemente riesce a essere più convincente.

Si tratterà di capire se e quanto gli ultimi giorni di una campagna elettorale priva di mordente, sia a sinistra sia a destra, incideranno sulle scelte di quei pochi o tanti che andranno alle urne. Per certi aspetti, la campagna del centro-sinistra ha coinciso con la grande kermesse nazional-popolare di Sanremo.

Qualcosa di unico in Europa, forse nell’intero mondo occidentale. Da giorni l’intero dibattito pubblico ruota intorno al “festival” e ai suoi messaggi più o meno espliciti. Si è parlato di pedagogia civile e addirittura di “pedagogia istituzionale”, il che rende evidente l’intenzione di “educare” lo spettatore alle virtù repubblicane. Un tempo questo compito era tipico della scuola, oggi il corso accelerato viene affidato a un festival canoro, non proprio di buon gusto nei suoi sviluppi. La sinistra intellettuale una volta si riconosceva nei giudizi taglienti di Pierpaolo Pasolini su Sanremo (“povere idiozie”); oggi si aggrappa al festival come a una zattera, in cerca di un ricostituente ideale, ma se possibile anche elettorale, che difficilmente potrà venire dallo spettacolo allestito da Amadeus, peraltro abilissimo nel suo mestiere.

La destra, da parte sua, è convinta di avere vita facile domenica e lunedì. Anche qui, vedremo. Soprattutto a Milano si dice che FdI dovrebbe augurarsi di vincere senza stravincere rispetto agli alleati un po’ derelitti di Lega e Forza Italia. La cui frustrazione è tangibile ed è destinata a crescere nell’ipotesi più negativa (Salvini al 10% o meno e Berlusconi al 6%). Ma non sembra proprio che Giorgia Meloni sia preoccupata di frenare la sua corsa – del resto, come farebbe? – o di farsi carico dei problemi altrui. Il punto è un altro.

La presidente del Consiglio non teme di perdere le elezioni, ma forse deve temere la tenaglia che si sta stringendo su di lei. Da un lato l’atmosfera sanremese, e non solo, racconta in forme ben orchestrate di un “populismo buono” rivolto in modo implicito contro la premier, interprete volente o nolente di un “populismo negativo” in quanto sovranista. Dall’altro l’Europa di Macron e Scholz tende a isolarla e, diciamo pure, a mortificarla. Le cronache sono chiare al riguardo.

Ci sono ragioni di politica interna all’origine della diffidenza, ma anche scelte precise sul piano internazionale. Del resto, non si può dire che Palazzo Chigi abbia fatto molto per stabilire un buon rapporto soprattutto con Parigi. Si dirà che da italiani non c’è troppo da gioire per tale isolamento, foriero di ulteriori tensioni. Ma tant’è. Ieri i “social” si sono riempiti di fotografie di Draghi insieme a Macron e Scholz: quasi tutte rimandano al famoso viaggio dei tre verso Kiev, a segnalare che allora l’Italia era un partner paritario mentre oggi è scivolata indietro. L’insidia per Giorgia Meloni è reale. Combattere su due fronti, interno ed esterno, non è possibile, come la storia insegna. E la tenaglia è una trappola pericolosa. Ben al di là del voto di dopodomani.

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