Addio motore termico, l’assalto ad un cambiamento necessario

 

Ettore Boffano il Fatto Quotidiano 20 febbraio 2023
 
Addio motore termico
 
Prezzi, indotto, occupati, manutenzione, etc: tutto quel che c’è da sapere su una sfida inevitabile. L’auto elettrica e l’Apocalisse che non ci sarà (fra 13 anni). Che cosa manca? Buttati 5 anni, il governo non ha piani, né chiede garanzie a l l’unico produttore rimasto. in Italia: la “francese” Stellantis

Combattere le fake news che vogliono distruggere l’auto elettrica e, assieme a lei, la decisione strategica dell’Ue per salvare l’ambiente. È la missione di chi, in Italia, vuole contrastare il fronte di fuoco che si è aperto da quando, martedì scorso, l’Europarlamento ha approvato definitivamente la data del 2035 come quella per la produzione dell’ultimo motore termico nell’ automotive europeo.

Una strategia di disinformazione di massa che non risparmia nulla e nessuno e che ha come scopo quello di invocare un passo indietro del nostro Paese per strappare alla Ue frenate, ridimensionamenti ed eccezioni verso quel traguardo temporale. In campo ci sono le associazioni di categoria dei produttori della componentistica per l’auto (tutta dimensionata sul motore termico, ma legata per metà delle sue produzioni ai colossi di Germania e Francia che stanno invece viaggiando, a tutta velocità, verso l’elettrico), la Confindustria e un pezzo del governo Meloni guidata dai ministri leghisti Salvini e Giorgetti. MOLTI

I CAVALLI DI BATTAGLIA di questo assalto all’elettrico, a partire dal tema più importante: quello dell’occupazione. Il tracollo previsto, secondo chi va all’attacco, varia tra la scomparsa dei 70 mila posti della componentistica, spalmata su 900 aziende, ai 195 mila di una platea ben più ampia e non meglio determinata (“Per raggiungere certi numeri, forse bisogna contare anche chi lavora nelle officine meccaniche individuali . . .” ride chi conosce bene quel mondo).

Numeri, soprattutto, presentati con crudezza apodittica, quasi come se tutto ciò dovesse accadere domani e non, almeno, tra 13 anni. L’allarme di queste ore, infatti, sembra non tener conto di come la decisione del Parlamento Europeo fosse ampiamente prevista da anni e discussa e sviscerata da almeno 12 mesi. E di come le cifre della “catastrofe annunciata” circolino da altrettanto tempo, accompagnate da smentite ugualmente nette. L’ultima va cercata in una ricerca recentissima elaborata da Ca’ Fosca ri assieme a Motus-E, l’associazione di imprenditori del settore automotive, mondo accademico e movimenti d’opinione che vogliono accelerare il cambiamento verso la mobilità elettrica. Francesco Naso, segretario generale, la spiega così: “Noi abbiamo scelto non di fare un conto teorico di posti a eventuale rischio, ma di monitorare 2.500 aziende che a qualunque livello operano intorno al settore automobilistico: da chi produce solo componenti legati al motore termico a chi solo o anche componenti invariabili e che serviranno sempre, come sedili, cruscotti, vetri, ruote eccetera, fino a chi già opera nella gamma dei nuovi componenti per l’elettrico”.

La realtà che ne emerge è abbastanza diversa dalla brutalità di chi vuole fermare tutto. Solo 96 aziende, con poco più di 14 mila dipendenti, realizzano unicamente prodotti per auto a motore termico. Sono 43 mila invece i posti di lavoro nelle realtà che hanno nella loro produzione almeno un componente per motori termici, ma che poi realizzano anche lavorazioni invariabili.

Alto, infine, sino ai 215 mila unità, il numero degli occupati in quelle aziende che realizzano anche nuovi prodotti già utilizzati per i vettori elettrici o destinati in futuro a quello scopo. In qualche modo, una conferma dei segnali che giungono da altri studi a livello europeo e che parlano di 650 mila posti di lavoro destinati a sparire nella Ue, bilanciati però da altrettanti che nasceranno al termine della transizione. “Una realtà in divenire, dinamica e che dimostra come non sia possibile sostenere che tutto finirà in un istante e ovunque allo stesso modo – aggiunge Naso – Le auto a motore termico continueranno a essere vendute in questi anni e continueranno a circolare dopo il 2035.

Vogliamo fare qualche ipotesi abbastanza credibile? Oggi il parco di vetture circolanti in Europa è di circa 35 milioni. Nel 2035 possiamo prevedere che le vetture elettriche saranno tra i 10 e i 15 milioni: nulla crollerà all’i mprovviso, nessuno resterà disoccupato da un momento all ’altro”. L’IMPORTANTE ADESSO, av e n d o l’Italia già perso 4-5 anni senza nessuna proposta e senza progetti chiari, sarebbe non buttare più via il tempo, usando i prossimi 13 anni per un piano complessivo che metta assieme ambiente, rivoluzione tecnologica e produttiva, tutela sociale.

Un cambio di paradigma dell ’intero settore dell’automo – tive che è l’unica possibilità per salvare nel nostro Paese qualcosa che non esiste quasi più: in vent ’anni le auto prodotte in Italia sono passate da 1,5 milioni a poco più di 400 mila. Numeri piccoli che ci allontanano dai veri padroni europei del mercato e dell’industria automobilistica, Germania e Francia, e che non autorizza più nessuno, dunque, ad affermare che il nostro Paese “è un grande produttore di automobili”.

E dopo quelle sull ’occupazione, ecco le altre fake news di questa battaglia di retroguardia, che minaccia l’Apocalisse: ad esempio la sopravvalutazione dell ’attuale alto costo delle vetture elettriche rispetto a quelle con motore termico: oggi, in media, 10 mila euro in più. I prezzi avevano iniziato a scendere tre anni fa, ma sono stati poi bloccati da pandemia, crisi energetica e rincari delle materie prime.

Una realtà temporanea che però, con la crescita dell ’economia di scala delle produzioni di vetture elettriche e con il cambiamento delle situazioni geopolitiche attuali, dovrebbe modificarsi, e non di poco, nei prossimi anni. Così come è una vera e propria leggenda quella del maggior costo di manutenzione: il tagliando per una vettura elettrica vale oggi 100 euro, contro gli almeno 500 per un’auto con motore termico. Infine, va sfatata una seconda falsità: che le auto elettriche si vendano poco. Una ricostruzione del mercato fatta ogni volta indicando sempre e solo i dati italiani dell ’anno scorso: meno di 50 mila vetture acquistate.

Nello stesso periodo, in Germania, quel numero però era 500mila. Per questo quel Paese è oggi il più avanzato nella corsa verso il 2035 e la stessa cosa accade in Francia dove lo Stato (azionista di Stellantis) ha favorito e finanziato accordi strategici per la transizione elettrica e la sua ricerca, mentre gli incentivi per quel tipo di vetture sono collegati, oltre che ai redditi dei consumatori, anche alla produzione in territorio transalpino. Cosa che in Italia non accade, favorendo anche le brutte abitudini dei nostri concessionari che tendono a non caldeggiare l’ac – quisto di vetture elettriche: non ancora capaci di garantire guadagni pari a quelli per le vendite di auto termiche.

LA PROSPETTIVA DEL 2035 rappresenta, soprattutto, l’o ccasione di fondere, programmando, la tutela ambientale con la transizione sociale. Quella che abbiamo davanti non è una scelta traumatica e non annunciata. È invece qualcosa di previsto da tempo e che va gestito: mettendo assieme per la prima volta ambiente, garanzie sociali e trasformazione del lavoro. Inventando nuove professionalità e specializzazioni, ma pensando anche a come riqualificare i lavoratori per le nuove produzioni o a come formare le nuove figure necessarie per l’elettrico.

Scegliendo, al posto degli ammortizzatori sociali tradizionali, la svolta della riduzione dell’orario di lavoro proprio nel settore dell’automobile, mantenendo i salari e utilizzando il tempo guadagnato per corsi di formazione e riqualificazione del personale. Che cosa occorre perché tutto ciò possa accadere?

Una guida da parte del governo per trovare intese con tutti i soggetti coinvolti, compreso il mondo dell ’università e della ricerca. Cominciando però, prima di tutto, a chiedere chiarezza di intenti all’unico produttore di rimasto in Italia. Quella Stellantis ormai a controllo francese, ma che resta nevralgica per impostare la via italiana all’auto elettrica. Quali sono gli impegni che il governo italiano chiede a Elkann e Tavares?

 

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