Chiara Valerio La Repubblica 27 febbraio 2023
Elly Schlein, una donna che vince nel nome di tante altre donne
Il commento. Nilde Iotti alla presidenza della Camera nel giugno 1979, Elly Schlein alla guida del Pd nel febbraio 2023
Nel discorso di insediamento alla Presidenza della Camera del 20 giugno 1979, Nilde Iotti (la cui prima occorrenza, ancora oggi, quando se ne digita il nome su Google è “Nilde Iotti marito”) diceva: “Io stessa – non vi nascondo – vivo quasi in modo emblematico questo momento, avvertendo in esso un significato profondo, che supera la mia persona e investe milioni di donne che attraverso lotte faticose, pazienti e tenaci si sono aperte la strada verso la loro emancipazione. Essere stata una di loro e aver speso tanta parte del mio impegno di lavoro per il loro riscatto, per l’affermazione di una loro pari responsabilità sociale e umana, costituisce e costituirà sempre un motivo di orgoglio della mia vita”. Il 20 giugno 1979 Elly Schlein – all’anagrafe Elena Ethel Schlein – non è ancora nata, lo farà il 4 maggio 1985, e da ieri è il primo segretario donna del Partito Democratico. Correggo. È la prima segretaria di un partito di sinistra in Italia. Siamo nel 2023.
Se tuttavia, nel 1979, Nilde Iotti proclamava, già dal discorso di insediamento, di essere stata eletta non in quanto singolo essere umano di sesso e genere femminile, ma in quanto rappresentante delle milioni – dice milioni, cioè non le conta, le immagina – di donne “che si sono aperte la strada verso la loro emancipazione”, Elly Schlein, che ha impostato la sua campagna per le primarie su conversione ecologica, ius soli, diritti per le persone LGBT+, federalismo europeo e necessaria conseguenza di una politica comune sui migranti, su salario minimo e su una tassazione più alta per chi ha grandi patrimoni, su legalizzazione della cannabis e femminismo intersezionale, sta lì come rappresentante non di sé stessa ma della maggior parte di noi.
Lo scrivo come Nilde Iotti diceva “milioni”, come Schlein dice che diritto è il contrario di privilegio, cioè me lo immagino. La politica è l’unica cosa che, quando è tale, esprime e avvera desideri.
Se tuttavia si volesse sintetizzare la traversata nel deserto delle donne nella sinistra italiana – con relative tentazioni incarnate da Giorgia Meloni in quanto rappresentante non solo dello Stato, democraticamente lo è, ma pure di tutte le anime che in uno stato democratico si muovono, cosa che invece non è – bisognerebbe valutare almeno due cose, che riguardano Schlein e diverse generazioni di donne (me compresa).
La prima è che Elly Schlein è nata (non si eccepisca qui che Sorengo è in Svizzera), e arrivata all’età della memoria cosciente, mentre Nilde Iotti era presidente della Camera. Dunque, i bambini, ma soprattutto le bambine, nati tra il 1979 e il 1992 – durata della presidenza Iotti – conoscevano la possibilità e la rappresentazione di una donna nelle istituzioni e in un partito di sinistra (resistente, madre costituente, deputata della Repubblica dal 1948 al 1999). Chi è venuto dopo è stato meno fortunato. Certo, potrebbe ricordare Aureliana Alberici, senatrice del Pci e ministro dell’istruzione del governo ombra Pci-Pds (1989-1992).
Potrebbe aver gioito con Rosy Bindi fautrice instancabile di un grande partito di centrosinistra e immensa nel firmare, nonostante le opposizioni del mondo cattolico (il suo), una legge che garantisse diritti e doveri ai coniugi non sposati. Potrebbe pensare ad Anna Finocchiaro e Laura Boldrini, a Debora Serracchiani e Maria Elena Boschi. Di certo continua a guardare a Emma Bonino instancabile nel ribadire (tra molte altre cose) che non si può gioire quando entrano in campo eserciti e militari e che la libertà di culto è essenziale non solo per il vivere civile ma per la democrazia.
La seconda è la rappresentazione, il registro simbolico, la possibilità di identificazione. Di dire, non solo, sarò come Nilde Iotti, difenderò l’amnistia del 1946 che rompeva con un regime che predicava continuamente la vendetta. Ma pure, sarò come Elly Schlein che mentre il mio Paese, la più grande banchina sul Mediterraneo, non aveva una politica né nazionale né europea sui migranti, ha continuato a dire che le cose potevano essere cambiate.
E le ha cambiate. Perché le aveva immaginate.